La rottura tra Elly Schlein e Giuseppe Conte segna un punto di non ritorno nel fragile "Campo largo" dell'opposizione italiana.
Secondo l'articolo di Alessandro De Angelis pubblicato su La Stampa oggi, i due leader non si parlano nemmeno più dopo la vicenda degli inviti incrociati alla festa di Atreju.
Schlein avrebbe tentato di contattare Conte più volte senza risposta, in un clima di gelo totale che paralizza qualsiasi coordinamento contro il governo Meloni.
Questo scontro, emerso dopo il caso Atreju e amplificato da accuse reciproche, rischia di consegnare un'opposizione frammentata proprio alla vigilia di sfide cruciali come il referendum sulla giustizia.
Il distacco personale tra Schlein e Conte affonda le radici in episodi recenti che hanno cristallizzato reciproche diffidenze.
Tutto è esploso con l'invito di Fratelli d'Italia alla festa di Atreju: Schlein accetta solo a condizione di un bilaterale con Meloni, ma Conte – sondato da Fratelli d'Italia – critica l'esclusione e va da solo, rompendo le uova nel paniere di Schlein.
Il giorno dopo, Rocco Casalino, ex portavoce M5S, attacca pubblicamente Schlein su Facebook definendo la sua scelta "sbagliata", un post letto e inoltrato al Nazareno che ha inferocito lo staff dem. ù
Schlein, intanto, confessa in Transatlantico:
"Ho provato a chiamarlo diverse volte, ma non mi risponde"
rivelando un'assenza di comunicazione anche tra i rispettivi entourage.
Per questo, De Angelis oggi descrive questa fase come "due binari paralleli che non si incontrano mai", con staff che non si parlano e accuse trapelate sui giornali, rendendo vane mediazioni come quella di Goffredo Bettini.
Al di là del gelo personale, i dissidi ruotano attorno a leadership e strategie elettorali.
Conte non riconosce a Schlein, leader del partito più grande, la guida della coalizione per le prossime politiche: è lo stesso ex premier a nutrire ambizioni per Palazzo Chigi, sognando un ritorno da "avvocato del popolo" post-Covid, mentre il Pd vede l'M5S come un alleato subalterno.
Divergenze concrete emergono sul referendum giustizia: senza coordinamento unico, Pd e M5S procedono separati, favorendo il ministro Nordio e il fronte del Sì.
A questo si sommano frizioni territoriali, come il ritiro M5S dalle primarie a Bari o l'inchiesta barese che alimentano sospetti di slealtà.
Ma soprattutto le sei mozioni (sei!) con cui il centrosinistra si è presentato all'appuntamento parlamentare prima del Consiglio europeo che doveva discutere di Ucraina.
Senza una linea unitaria sulla politica estera, ogni possibilità di mostrarsi uniti davanti agli elettori appare velleitaria.