Il governo non mai stato tanto vicino a una crisi di governo come nelle ultime 24 ore.
A far tremare palazzo Chigi è stata la Lega che ha minacciato di non votare il maxi-emendamento del governo dove era stata inserita una norma che prevedeva un allungamento delle finestre per le pensioni anticipate.
Una stretta contro cui il carroccio ha puntato i piedi: nessun allungamento dell'età pensionabile, ha tuonato l'establishment leghista.
Lo strappo si è concretizzato nella notte, tanto che il governo si è visto costretto a eliminare la norma incriminata per scongiurare la crisi di governo e consentire la continuazione del dibattito per l'approvazione in commissione sulla Manovra di Bilancio in gravissimo ritardo.
In mattinata il maxi-emendamento è stato ripresentato senza la stretta sulle pensioni facendo esultare la Lega.
A finire travolto dal caos scatenatosi in maggioranza sul tentato blitz pensioni è stato il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti.
La querelle sulle pensioni, che ha rischiato di aprire una crisi di maggioranza, si è conclusa intorno alle 11,30 di venerdì 19 dicembre con la ripresa dei lavori della Commissione Bilancio di Palazzo Madama e il deposito del nuovo emendamento del governo alla Manovra.
Un emendamento dal quale sono scomparse tutte le norme sulle pensioni. Niente allungamento delle finestre nè riscatto della laurea. La linea della Lega è passata su tutti i fronti.
Il governo – ricordiamo – per reperire risorse per le imprese aveva ipotizzato un allungamento progressivo delle finestre di uscita per le pensioni anticipate (da 3 mesi nel 2031 a 30 mesi dal 2035 per chi raggiunge 42 anni e 10 mesi di contributi) e limiti al riscatto della laurea.
La Lega, con Giorgetti e Borghi, si è opposta duramente definendo le misure inaccettabili per i lavoratori, esercitando un pressing che ha portato il governo a stralciare l'intero pacchetto dal nuovo emendamento proposto dal governo.
Dinanzi alla minaccia della Lega di non votare il provvedimento, Palazzo Chigi ha dovuto cedere.
Ha commentato il senatore del Carroccio e relatore del ddl Bilancio, Claudio Borghi, a chi gli chiedeva se le due riformulazioni dell’emendamento del governo alla manovra, siano una vittoria della Lega.
A finire nel mirino delle critiche, soprattutto dell'opposizione, che ne chiede a gran voce le dimissioni, è stato il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, accusato di aver fatto un dietro front sulle norme previdenziali dietro pressione del suo partito, la Lega.
Secondo l'opposizione il titolare del dicastero dell'economia, prima avrebbe giustificato la stretta pensionistica in nome della sostenibilità finanziaria, poi l'avrebbe voluta cancellare per accontentare il suo partito, rivelando divisioni profonde nel governo Meloni.
Un' instabilità che sfiora la crisi, come è già apparso evidente anche in altre occasioni, tra cui appena pochi giorni fa con il caso del decreto per il rinnovo dell'invio delle armi all'Ucraina.
Una situazione al limite della crisi che ha sottolineato il leader di Azione Carlo Calenda quando ha commentato:
Insomma sulle pensioni nel centrodestra si è fatto un pasticcio, dando l'assist perfetto al centrosinistra che ha immediatamente chiesto le dimissioni del ministro dell’Economia accusandolo di aver perso autorevolezza e controllo sulla legge di bilancio.
Matteo Renzi sostiene che, al di là dell’esito degli emendamenti, Giorgetti sia stato politicamente indebolito e sconfessato dalla sua stessa maggioranza.
Ha scritto nella sua E-news.
Il Partito democratico, con Francesco Boccia, denuncia una manovra in forte ritardo, segnata da litigi e improvvisazione, e accusa il ministro di essere stato smentito dal suo partito.
Per questo chiede che Giorgetti riferisca subito in Parlamento o, se non più in grado di svolgere il ruolo, rassegni le dimissioni.
Ha dichiarato il capogruppo Pd al Senato, e poi ha aggiunto:
ha concluso.
Riccardo Magi di Più Europa afferma che Giorgetti sia ormai ridotto a una “comparsa”, esautorato dalla maggioranza, e lo invita a lasciare l’incarico.
Secondo Magi, quanto accaduto dimostra che la manovra è elettorale, priva di visione e orientata a distribuire risorse senza responsabilità sui conti pubblici.