La Corte di Cassazione ha confermato in via definitiva l’assoluzione di Matteo Salvini nel processo Open Arms, respingendo il ricorso “per saltum” presentato dalla Procura di Palermo. Diventa così definitiva la sentenza che lo aveva assolto dall’accusa di sequestro di persona aggravato e rifiuto di atti d’ufficio per i fatti dell’agosto 2019, quando la nave della Ong spagnola rimase per giorni al largo con 147 migranti a bordo in attesa di un porto sicuro.
A pronunciarsi è stata la sezione penale della Corte di Cassazione, che ha rigettato il ricorso della Procura di Palermo contro la sentenza emessa il 20 dicembre 2024 dal Tribunale del capoluogo siciliano. In primo grado Salvini era stato assolto “perché il fatto non sussiste”, con i giudici che avevano escluso la configurabilità dei reati contestati in relazione al mancato sbarco immediato dei naufraghi soccorsi dalla Open Arms.
Il ricorso della Procura era stato proposto “per saltum”, cioè saltando il giudizio d’appello per chiedere direttamente alla Suprema Corte di correggere quella che, secondo l’accusa, era una errata interpretazione delle norme sul soccorso in mare e sulla tutela della libertà personale dei migranti trattenuti a bordo. La Cassazione, accogliendo la richiesta della Procura generale che aveva chiesto il rigetto dell’impugnazione, ha invece ritenuto corretto l’impianto assolutorio del tribunale, mettendo la parola fine a una vicenda giudiziaria durata oltre cinque anni.
Al centro del processo vi erano le scelte assunte dall’allora ministro dell’Interno nell’agosto 2019, quando la Open Arms, dopo avere soccorso 147 persone in acque internazionali, rimase per 19 giorni in mare in attesa dell’indicazione di un place of safety (porto sicuro) per lo sbarco. L’accusa aveva sostenuto che il protrarsi della permanenza a bordo integrasse un’illecita privazione della libertà personale e la violazione degli obblighi di attivarsi per consentire lo sbarco, configurando così il rifiuto di atti d’ufficio e, come conseguenza, il sequestro di persona aggravato.
Il Tribunale di Palermo, nelle motivazioni dell’assoluzione poi confermata in Cassazione, aveva invece affermato che l’assegnazione del porto sicuro non spettava all’Italia e quindi non rientrava nelle competenze giuridiche dirette del ministro, escludendo l’esistenza di un obbligo giuridico penalmente rilevante in capo a Salvini. In assenza di tale obbligo, secondo i giudici, veniva meno il presupposto stesso per configurare i reati contestati, pur riconoscendo la complessità del quadro normativo che intreccia convenzioni internazionali sul salvataggio in mare, diritto interno e prassi politico-amministrative.
Subito dopo la notizia, Matteo Salvini ha pubblicato una foto con il pugno alzato, scrivendo: “Difendere i confini non è reato”. Il vicepremier ha rivendicato le scelte compiute nel 2019, sostenendo che rifarebbe “esattamente tutto quello che ha fatto”. Il leader della Lega ha ribadito che, a suo avviso, le politiche di chiusura dei porti e di contrasto alle Ong abbiano contribuito a ridurre sbarchi, reati e morti in mare, presentando l’esito giudiziario come una sorta di validazione della propria linea sull’immigrazione.
La sua avvocata Giulia Bongiorno ha definito il processo “uno che non doveva nemmeno iniziare”, sostenendo che il rigetto del ricorso dimostra come il ricorso stesso della Procura fosse “totalmente fuori dal mondo” e che la decisione della Cassazione confermi “la correttezza dell’operato di Salvini”. Secondo la legale, la pronuncia definitiva suggella un principio di diritto per cui non si può attribuire responsabilità penale a un ministro quando le scelte operate rientrano nell’indirizzo politico del governo e nell’ambito di poteri discrezionali riconosciuti dall’ordinamento.
Di segno opposto le reazioni della Ong protagonista del caso, che parla di una “decisione politica” più che tecnica. Il fondatore di Open Arms, Oscar Camps, ha dichiarato che “neanche oggi si è fatta giustizia, ma si è costruita un’impunità”, sostenendo che affermare l’assenza di reato quando un ministro blocca per giorni persone salvate in mare significa “legittimare l’uso della sofferenza umana come strumento politico”.
Secondo la nave umanitaria e molte organizzazioni per i diritti umani, il caso Open Arms rappresenta un precedente pericoloso perché rischia di indebolire la portata effettiva degli obblighi internazionali di soccorso e protezione delle persone migranti. In questa lettura, la chiusura del procedimento penale non cancella le responsabilità politiche e morali delle scelte compiute nel 2019, che vengono viste come parte di una più ampia strategia di criminalizzazione delle Ong impegnate nei salvataggi nel Mediterraneo.