Mel Gibson e Sean Penn insieme non passano mai inosservati, soprattutto quando si muovono dentro una storia vera che mescola genialità, ossessione e dolore.
"Il professore e il pazzo" è un film biografico drammatico del 2019 diretto da Farhad Safinia, che firma la regia con lo pseudonimo di P. B. Shemran e porta sullo schermo un racconto fuori dagli schemi, dove la lingua inglese diventa un campo di battaglia emotivo prima ancora che culturale.
La pellicola prende ispirazione dal libro "The Surgeon of Crowthorne" di Simon Winchester e ruota attorno alla nascita dell’Oxford English Dictionary, uno dei progetti editoriali più ambiziosi di sempre. Il film si muove tra l’Inghilterra vittoriana e le ombre della mente umana, alternando biblioteche polverose, corridoi di manicomi e salotti intellettuali.
Al centro c’è l’incontro improbabile tra il professor James Murray, autodidatta brillante e visionario, e William Chester Minor, ex chirurgo militare americano rinchiuso in manicomio criminale. Mondi lontanissimi che finiscono per incastrarsi alla perfezione, come le parole giuste in una definizione riuscita. Il risultato è un racconto intenso, a tratti spigoloso, che ha fatto discutere anche fuori dallo schermo per le sue travagliate vicende produttive.
Anche se "Il professore e il pazzo" è ambientato principalmente in Inghilterra, Il professore e il pazzo viene girato quasi interamente in Irlanda. Le riprese si svolgono nel 2016 a Dublino e nei suoi dintorni, con il Trinity College che presta cortili, biblioteche e facciate per ricreare l’atmosfera dell’Oxford vittoriana. Una scelta nata inizialmente come "piano B", voluta da Mel Gibson come soluzione di riserva rispetto a Londra.
L’attore e produttore non ha nascosto una certa insoddisfazione iniziale per le location irlandesi, salvo poi ricredersi a fine lavorazione, riconoscendo l’efficacia scenografica e l’accoglienza della troupe locale. Dublino diventa così una Londra alternativa, elegante e credibile, capace di sostenere visivamente una storia densa di dialoghi, libri e interni.
Dietro le quinte, il film vive anche una lunga battaglia legale tra Gibson, Safinia e la casa di produzione Voltage Pictures, che ritarda l’uscita fino al 2019 e porta i due autori a prendere le distanze dal montaggio finale. Un percorso tortuoso che rispecchia, in modo quasi ironico, la fatica titanica raccontata nel film: dare ordine alle parole, anche quando tutto sembra andare storto.
La storia prende avvio nella Londra del 1872, dove William Chester Minor vive intrappolato nelle proprie allucinazioni. Veterano dell’esercito degli Stati Uniti, è perseguitato dai fantasmi della guerra e, durante uno di questi deliri, uccide accidentalmente un uomo innocente. Dichiarato non colpevole per infermità mentale, viene rinchiuso nel manicomio criminale di Broadmoor, luogo che diventa la sua prigione fisica e mentale.
In parallelo, il film introduce James Murray, che nel 1879 viene coinvolto nel mastodontico progetto del New English Dictionary della Oxford University Press. Il dizionario esiste già sulla carta da anni, ma è fermo, ingolfato, quasi impossibile da completare. Murray ha un’intuizione popolare e rivoluzionaria: chiedere ai cittadini di tutta la Gran Bretagna di inviare esempi d’uso delle parole.
Un crowdsourcing ante litteram che gli vale la direzione del progetto. Da Broadmoor, Minor intercetta l’appello e inizia a spedire migliaia di schede lessicali, curate in modo maniacale, ricche di citazioni letterarie.
Il suo contributo diventa fondamentale, tanto da salvare il dizionario dal naufragio. Murray rimane colpito da quella mente brillante e decide di incontrare Minor, scoprendo la sua condizione. Tra i due nasce un’amicizia profonda, costruita su libri, parole e rispetto reciproco, che Murray sceglie di tenere nascosta all’establishment accademico.
Nel frattempo, la vita di Minor si intreccia con quella di Eliza, la vedova dell’uomo che ha ucciso. Il rapporto tra i due evolve lentamente, tra senso di colpa, perdono e fragilità emotiva. Questo equilibrio precario, però, viene messo a dura prova dalle lotte di potere interne alla Oxford Press e dall’ambizione di Henry Bradley, pronto a screditare Murray pur di prendere il controllo del dizionario.
Il finale del film vira decisamente verso il dramma umano. Quando la vera identità di Minor viene scoperta, la sua collaborazione viene cancellata ufficialmente e Murray viene estromesso dal progetto. La situazione precipita anche sul piano psicologico: Minor, destabilizzato emotivamente, sprofonda in una crisi violenta che porta alla fine delle terapie sperimentali e alla perdita dei suoi privilegi a Broadmoor.
Grazie all’intervento di Ada, moglie di Murray, e alla determinazione dello stesso professore, la vicenda di Minor torna sotto i riflettori. Murray tenta ogni strada legale per farlo liberare, arrivando fino al ministro degli Interni Winston Churchill. La decisione finale non è una vera assoluzione, ma una soluzione politica: Minor viene espulso e rimandato in America come straniero indesiderato.
Il loro addio è silenzioso e carico di significato, un saluto tra due uomini che hanno cambiato la storia delle parole senza poter davvero cambiare il proprio destino. Murray viene reintegrato alla guida del dizionario e il nome di Minor viene finalmente riconosciuto tra i collaboratori.
I titoli di coda ricordano che Murray muore nel 1915 e Minor nel 1920, mentre l’Oxford English Dictionary viene completato solo nel 1928, diventando un monumento linguistico senza precedenti.