Tony Drago aveva 25 anni, una laurea in Scienze dell’Investigazione e il sogno di indossare la divisa per combattere la mafia quando, nel luglio 2014, fu trovato senza vita nel cortile della caserma Sabatini di Roma.
Pochi giorni fa la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, a cui i familiari avevano presentato un ricorso nel 2021, ha stabilito con una sentenza che le indagini condotte sulla sua morte - archiviate nel 2019 - furono
Un pronunciamento che per la madre, Sara Intranuovo, da anni in attesa di giustizia, rappresenta "un primo passo": importante certo, ma non definitivo.
Secondo la Cedu, in sostanza, le autorità italiane non avrebbero svolto alcuna "effettiva indagine", fornendo una spiegazione "non soddisfacente e convincente" sulle circostanze del decesso del giovane.
Una valutazione che dà ragione, almeno sul piano dei diritti umani, alla battaglia portata avanti dai familiari, che fin dal primo momento avevano contestato la versione del suicidio.
"Con questa notizia mi sono ritrovata catapultata di nuovo a undici anni fa", racconta Intranuovo a Tag24. "Certe cose non si dimenticano: ancora faccio i conti con la tragedia della scomparsa di mio figlio".
La donna sottolinea come la Corte abbia condannato lo Stato italiano: "Le indagini furono svolte in maniera superficiale - spiega - Circostanza che è ormai sotto gli occhi di tutti".
Tony era caporale dei Lancieri di Montebello e prestava servizio alla caserma Sabatini, sulla Flaminia, dal novembre 2013. La mattina del 6 luglio 2014 dei militari telefonarono ai suoi genitori per avvertirli che era stato trovato morto nel piazzale della struttura militare.
"Ci dissero subito che si era trattato di un suicidio", dichiara la madre. "Non ci abbiamo mai creduto", ribadisce. "Mio figlio stava bene. Entrare nell'esercito era stata una sua scelta: pochi giorni prima aveva firmato per il secondo anno di ferma volontaria".
Nel 2017, dopo la riesumazione della salma, i consulenti nominati dal gip evidenziarono lesioni e abrasioni non compatibili con una caduta dall'alto e una posizione del corpo definita "particolarmente composta". Elementi che portarono a ipotizzare un'aggressione.
Furono iscritti nel registro degli indagati otto commilitoni. Nel 2019, il procedimento venne però archiviato dal gip di Roma, Angela Gerardi, senza colpevoli. "L'idea che mi sono fatta è che le indagini sono state pilotate, dall'inizio", sostiene Intranuovo.
La donna racconta di un clima difficile, di nonnismo, all'interno della caserma: "Non c'era un'aria tranquilla. Mio figlio all'inizio era contento, poi, nell'ultimo periodo, si capiva che qualcosa non andava, anche se non ce ne parlava apertamente".
"Il 23 giugno 2014, giorno del suo compleanno, lo accompagnammo all'aeroporto di Catania: fu l'ultima volta che lo vedemmo vivo", prosegue Intranuovo. A distanza di anni, il dolore è ancora vivo nella sua voce.
"Sono convinta che loro la verità la sappiano. Che sappiano cos'è successo", dice, ricordando anche la mancata consegna ai familiari delle registrazioni delle videocamere. La sentenza della Cedu rappresenta per loro un primo riconoscimento.
"Nei prossimi giorni ci incontreremo con l'avvocato e con i consulenti per capire come andare avanti. Tony era un ragazzo solare, in gamba. Forse per questo ha pagato con la vita. Voleva indossare la divisa della polizia o dell'Arma: non gliel'hanno permesso. Vogliamo giustizia".
La sua storia si intreccia con quella di Emanuele Scieri, trovato morto il 16 agosto 1999 in una zona isolata della caserma Gamerra di Pisa e vittima - secondo una sentenza definitiva - di omicidio volontario. Emanuele aveva 26 anni e, come Tony, era di origini siciliane.