12 Dec, 2025 - 12:40

Lucy Liu in "Rosemead": il suo ruolo "più vulnerabile" e cosa sappiamo del film

Lucy Liu in "Rosemead": il suo ruolo "più vulnerabile" e cosa sappiamo del film

Lucy Liu ha passato quasi 35 anni a mostrare al mondo cosa significhi essere un’icona di forza: dai suoi calcioni acrobatici in "Charlie’s Angels" alle battute taglienti di Ling Woo in "Ally McBeal", fino alla ferocia misurata in "Kill Bill".

Eppure, con "Rosemead", ha deciso di spogliarsi di quel mantello da guerriera pop per mostrare un’umanità fragile, tenera e profondamente complessa.

Il film, basato su una storia vera del 2015, mette in scena una comunità cinese della California meridionale, una madre malata, un figlio affetto da schizofrenia e un mondo in cui cultura tradizionale e salute mentale si scontrano in modo devastante.

Lucy Liu, nel ruolo di Irene, ha attraversato sette anni di tentativi per portare questa storia sul grande schermo. E oggi, con l’uscita del film nelle sale americane, i fan stanno cercando risposte a una domanda precisa: perché questo ruolo rappresenta un nuovo capitolo nella carriera dell’attrice?

Lucy Liu: la storia vera dietro "Rosemead"

La trama reale da cui nasce "Rosemead" è così intensa che, come ha confessato Lucy Liu, "se non fosse vera, nessuno ci crederebbe". La vicenda riguarda una madre cinese immigrata, malata di cancro e terrorizzata dalla schizofrenia diagnosticata a suo figlio.

Nel tentativo disperato di proteggerlo - e forse di proteggere anche la comunità - la donna ha preso una decisione estrema, radicata nella confusione, nello stigma culturale e in un amore distorto ma potentissimo.

L’articolo del Los Angeles Times che ha raccontato questa storia ha generato discussioni, critiche, persino ostilità. Non tutti, nella comunità asiatica locale, erano pronti a vedere quella vicenda portata alla luce.

"La donna che ha parlato col giornalista è stata osteggiata", ricorda Liu. Una dimostrazione del silenzio che, ancora oggi, colpisce le famiglie che affrontano la malattia mentale.

Il film non addolcisce nulla: mostra una comunità stretta tra la necessità di "salvare la faccia" e l’impossibilità di nascondere ciò che sta crollando dentro le mura domestiche.

Ed è qui che Liu trova la sua verità artistica: una madre che parla in cinese, che nasconde il dolore dietro un’apparenza di normalità e che tenta di seguire i consigli dei medici occidentali, senza però comprenderne la reale portata.

Il ruolo più intimo della carriera di Lucy Liu

Lucy Liu ha dichiarato che interpretare Irene è stato "un cambiamento profondo". Per un’attrice spesso associata a personaggi glamour, moderni, combattivi, la trasformazione è evidente. In "Rosemead", Liu appare vulnerabile, stanca, smarrita, lontana anni luce dal suo archivio di ruoli "da dura".

"Mi sono sentita davvero a casa", racconta, riferendosi al lavorare in cinese. Il suo personaggio parla una lingua che lei stessa usa da sempre, e questa autenticità ha permesso all’attrice di creare un ritratto intimo e credibile.

Ma la parte più difficile è stata trovare il tono giusto: non un inglese con accento, ma un cinese pensato in inglese, tradotto, reso credibile. "Abbiamo rivisto le battute parola per parola", spiega, sottolineando che la costruzione del linguaggio di Irene non è stata solo tecnica, ma emotiva.

E poi c’è la questione culturale: Irene vive in bilico tra il mondo americano, con i suoi protocolli e le sue "regole", e quello cinese, dove si deve apparire sempre forti, sempre composti, sempre "in controllo". In questo spazio intermedio, il dolore diventa quasi indicibile.

Liu rivela di aver basato parte della fisicità del personaggio sui propri ricordi familiari: la postura, le pause, la timidezza. Un ritorno alle origini che le ha permesso di scolpire una donna reale, tridimensionale e profondamente tragica.

Il percorso di sette anni per portare la storia al cinema

Tutto è iniziato sette anni fa. Lucy Liu ha letto la storia originale e qualcosa, nel suo cuore e nella sua memoria personale, si è acceso. Da lì, un percorso lungo e complicato fatto di ricerca, scrittura, studio e tentativi di trovare il regista giusto. Quel regista è stato Eric Lin.

"Era la persona perfetta", dice Liu, pur dichiarando che in futuro vorrebbe tornare alla regia, quando troverà un progetto che la richiami "in modo viscerale".

Durante lo sviluppo della sceneggiatura, la squadra creativa si è interrogata su come raccontare un dramma così complesso senza scivolare nel sensazionalismo o nel melodramma. La risposta è stata semplice: restare fedeli alla realtà.

"Se avessimo preso scorciatoie, il film non avrebbe avuto lo stesso impatto", spiega Liu, sottolineando che il cuore del progetto era proprio la sincerità.

Il pubblico ha risposto con entusiasmo. A New York, il film ha incassato oltre 50mila dollari in una sola sala. La critica l’ha premiato con un glorioso 90% su Rotten Tomatoes. Per un film indipendente, è un risultato che fa rumore.

Un nuovo capitolo nella carriera di Lucy Liu

Dopo "Rosemead", Lucy Liu ha ammesso di aver dovuto "ricominciare da capo". Il film l’ha scossa nel profondo, al punto da ripensare al proprio equilibrio personale e professionale. Ora, come madre di un bambino di 10 anni, deve scegliere progetti che le permettano di bilanciare creatività e vita familiare.

Eppure, l’attrice non vede questo ruolo come un punto d’arrivo, ma come un punto di svolta. Gli indipendenti l’hanno sempre attratta e "Rosemead" potrebbe essere il primo tassello di una nuova fase, più intima, più audace, più veritiera.

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