12 Dec, 2025 - 11:38

Fini e Meloni: il retroscena della “carta segreta” per la scalata al Colle

Fini e Meloni: il retroscena della “carta segreta” per la scalata al Colle

Ufficialmente Gianfranco Fini ripete che non tornerà in politica. Niente rientri, niente ruoli istituzionali, nessuna candidatura. Eppure chi conosce i meccanismi della destra italiana sa che le parole di circostanza spesso servono più a coprire che a svelare. Perché se da un lato Fini non ha intenzione di rimettersi in prima linea, dall’altro la politica è tornata da lui, con discrezione ma con crescente insistenza.

Il suo ritorno, infatti, non è fatto di incarichi o poltrone, ma di una nuova centralità strategica. Una centralità che ruota attorno non al passato, ma al futuro della destra di governo. Ed è proprio qui che si inserisce la figura di Giorgia Meloni, oggi premier e possibile protagonista della partita più delicata della Repubblica: la scalata al Quirinale.

Perché Fini considera Meloni una scommessa vinta

La storia politica di Meloni e Fini è intrecciata da anni. Fu lui a lanciarla quando ancora guidava Alleanza Nazionale, offrendole ruoli istituzionali di peso e intuendo prima di molti altri la sua capacità di leadership. La Meloni di oggi, determinata e dominante, è anche il frutto di quel percorso. Non è un caso che molti nel centrodestra descrivano la premier come la “vittoria postuma” del progetto finiano: la prova che intuizioni e scelte di un tempo erano corrette.

Ma oggi il rapporto si rovescia. Meloni non rappresenta solo la continuazione di una tradizione, ma guarda a Fini come a un asset politico utile per uno dei suoi obiettivi più ambiziosi: costruire il consenso trasversale necessario per aspirare un giorno alla presidenza della Repubblica.

La carta Fini per il Quirinale

È proprio su questo fronte che il nome di Fini diventa una pedina chiave. Meloni sa perfettamente che il Quirinale non si conquista con i voti di una sola area politica, né con la sola forza del consenso popolare. Servono ponti, reti consolidate, interlocuzioni con mondi che spesso osservano con diffidenza il sovranismo, la destra identitaria e ogni forma di polarizzazione.

Fini questi ponti li possiede ancora. Conserva relazioni stabili con ambienti istituzionali, diplomatici e moderati italiani ed europei. Ha un canale privilegiato con settori della politica tradizionale che Meloni non frequenta e non può improvvisare. E gode di una reputazione “istituzionale” che trascende la storia della destra italiana.

Per questo, secondo fonti vicinissime alla premier, Fini è considerato una risorsa strategica: la carta da giocare quando inizierà davvero la corsa al Quirinale.

Le interlocuzioni riservate tra Meloni e Fini

I contatti tra Meloni e Fini non sono frequenti, ma quando avvengono hanno un carattere strategico. Non si tratta di consigli politici quotidiani, né di una regia parallela. Piuttosto, sono scambi mirati, finalizzati a comprendere scenari più ampi: rapporti con l’Europa, orientamenti del mondo moderato, atteggiamenti dell’establishment. Un tipo di informazione che solo Fini, per esperienza e reti di relazione, può oggi offrire.

È questo il motivo per cui molti osservatori considerano Fini un possibile ambasciatore informale della premier: la figura capace di dialogare con quei mondi necessari per un eventuale consenso largo sulla sua candidatura al Quirinale.

Una presenza discreta ma decisiva

La vera forza di Fini, però, sta proprio nella sua invisibilità politica. Non avendo ambizioni di ritorno, può muoversi con autonomia, credibilità e discrezione. E questo lo rende ancora più utile alla narrazione istituzionale che Meloni dovrà costruire se vorrà davvero puntare al Colle.

In questo scenario, Fini non torna in politica. Ma diventa, paradossalmente, più influente. E Meloni, che oggi guida il governo, potrebbe aver bisogno proprio di lui per costruire il passo più alto della sua carriera politica.
La “carta Fini” è pronta sul tavolo. E la partita, prima o poi, inizierà.

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