La decisione dell’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU) di confermare la partecipazione di Israele all’Eurovision Song Contest 2026, che si terrà a Vienna dal 12 al 16 Maggio, ha scatenato delle discussioni importanti: Spagna, Paesi Bassi, Irlanda e Slovenia hanno scelto di boicottare il Contest e ritirarsi ufficialmente, suscitando reazioni contrastanti all’interno della Comunità Europea e nel mondo della cultura. La situazione ha sollevato dei dubbi anche in merito alla connotazione, apparentemente, “apolitica” del Contest, mettendone in discussione il futuro.
Nonostante manchi ancora tanto, all’edizione 2026 dell’Eurovision Song Contest, essa sta già accedendo delle polemiche suscitate dalla partecipazione, ufficializzata dall’EBU, di Israele, particolarmente osteggiata dall’emittente irlandese RTÉ e da quella spagnola RTVE, che hanno fatto più volte riferimento alle uccisioni mirate di giornalisti e civili, e alle restrizioni della libertà di stampa, nella Striscia di Gaza.
Negli ultimi anni, l’Eurovision è stato sempre più influenzato dal conflitto israelo-palestinese: già nel 2024 e nel 2025, ad esempio, si è mostrato quanto la competizione musicale fosse sempre più plasmata dai conflitti globali. A pesare sulla decisione dei quattro Paesi, in questo caso, sono stati anche i sospetti che, l’anno scorso, ci sia stata una manipolazione del sistema di voto a favore di Tel Aviv, motivo per cui, durante l’Assemblea tenutasi a Ginevra, sono state apportate delle modifiche alle modalità di votazione, tentando di dare maggiore rilievo ai voti delle giurie tecniche nazionali e bilanciando il televoto. Tuttavia, neanche il nuovo regolamento approvato, che prevede maggiore trasparenza e neutralità nei voti, inclusi limiti a campagne governative o esterne promozionali, è bastato a calmare le acque.
L’Unione Europea di Radiodiffusione, ora, si trova di fronte ad un compito delicato che richiede di bilanciare la diversità culturale e le tensioni politiche: per i Paesi che hanno deciso di ritirarsi dal Contest, la partecipazione di Israele, ancora coinvolta nel conflitto a Gaza, rappresenta una violazione dei diritti civili ed un impedimento morale a prendere parte ad un evento che dovrebbe, piuttosto, celebrare la pace, l’inclusione e la fratellanza tra le Nazioni: al momento, quelle che hanno ufficializzato il boicottaggio sono la Spagna, appartenente ai Big Five, cioè il gruppo di Paesi che contribuisce maggiormente al bilancio economico dell’EBU e che, in cambio, ha un accesso diretto alla Finale; i Paesi Bassi, Irlanda e Slovenia. Islanda e Belgio decideranno, nei prossimi giorni, se prendere parte o meno alla competizione. Invece, altri paesi, tra cui Italia, Germania, Austria e Francia, hanno confermato la loro partecipazione, affermando che “la musica e la cultura non dovrebbero essere usate come strumento di esclusione”.
La Radio Televisión Española (RTVE) di Madrid, che non ha neanche mandato un proprio rappresentate alla riunione dell’EBU, ha annunciato che, oltre a non partecipare all’ESC 2026, non trasmetterà neanche le semifinali e la Finale del prossimo maggio, in segno di protesta. Il segretario generale dell’emittente spagnola, Alfonso Morales, ha detto: “La situazione a Gaza, nonostante il cessate il fuoco e l’approvazione del processo di pace, e l’utilizzo del concorso da parte di Israele per il raggiungimento di obiettivi politici, rendono sempre più difficile affermare la neutralità di un evento come questo”.
L’emittente olandese AVROTOS ha dichiarato che “la sua partecipazione non è compatibile con i suoi valori pubblici fondamentali” e il suo direttore generale, Taco Zimmermann, ha affermato: “La cultura non sempre connette [..] I valori universali come l’umanità e la libertà di stampa sono stati seriamente violati”. A Dublino, l’emittente pubblica irlandese RTÉ ha spiegato di aver preso questa decisione “alla luce della grave crisi umanitaria in corso e che continua a mettere in pericolo la vita di così tanti civili”. La presidente dell’emittente tv slovena, Natalija Gorščak, sostiene che la decisione di non escludere Israele rappresenti un “doppio standard” seguito dagli organizzatori del Contest e ha ricordato: “Negli anni recenti, la Russia è stata esclusa subito dopo l’invasione dell’Ucraina, eppure nessuno ha avuto lo stesso coraggio di fare ciò con Israele. Non dimentichiamo che, l’anno scorso, abbiamo visto un’esibizione israeliana chiaramente politica, e una performance simile è stata vietata alla cantante russa in Ucraina”.
Soltanto la Spagna, nella Finale del 2025, ha rappresentato una fetta significativa di spettatori europei (5,88 milioni): la sua assenza rappresenta, dunque, un colpo per l’audience complessiva e l’economia dei Festival. La Nazione costituisce la terza audience più grande d’Europa, dietro a Germania (che, nel 2025, ha portato circa 9 milioni di spettatori) e Regno Unito (6,7 milioni), a cui si aggiungono altri Paesi Big Five come la Francia (5,2 milioni) e l’Italia (4,7 milioni). A questi dati vanno aggiunti i numeri di Paesi Bassi (3,5 milioni), Irlanda (268 mila) e Slovenia (150 mila): così facendo, si arriva a quasi 9,8 milioni di spettatori in meno rispetto al 2025, e il conto potrebbe salire ancora se altri Paesi (o spettatori) dovessero aggiungersi al boicottaggio, per le stesse ragioni politiche.
La defezione di questi Paesi va a pesare, dunque, su tre fonti: perdita di pubblico, perdita economica in termini di contribuzione al sistema Eurovision e perdita simbolica; quello del budget, tra l’altro, è un tema sempre più delicato per il Contest, in un periodo in cui i vari governi nazionali stanno tagliando le spese per questo tipo di partecipazioni.
Secondo il direttore del Contest, Martin Green, la qualità dello show non verrà compromessa, e spera che, nel 2027, i Paesi che quest’anno hanno deciso di boicottare, in quanto “anti-Israele”, possano ritornare. Poi ha ricordato che, in virtù del fatto che la competizione dovrebbe essere apolitica, “non sono i governi a parteciparvi, ma le emittenti di servizio pubblico e i singoli artisti [..] Ciò su cui i membri hanno convenuto è la convinzione che questo Contest non debba essere usato come teatro politico, ma mantenere una certa neutralità”.
Un’ampia maggioranza dei membri riuniti alla 95esima Assemblea Generale, a Ginevra, ha convenuto che l’Eurovision Song Contest 2026 avrebbe dovuto svolgersi come previsto.
Il presidente israeliano Isaac Herzog, ha accolto con favore la conferma della sua partecipazione al Contest, affermando: “La nazione merita di essere rappresentata su ogni palco del mondo, una causa su cui sono pienamente e attivamente impegnato [..] Spero che la competizione continui a promuovere la cultura, la musica, l’armonia tra le nazioni e la comprensione culturale trans-frontaliera”. Anche la cantante israeliana Noa si è espressa dicendo che, “invece di scappare, si dovrebbe sostenere la pace, e questo spetta soprattutto agli artisti, con la loro musica”, proprio com’è stato fatto da lei con la palestinese Mira Awad.
La partecipazione della Nazione israeliana è stata particolarmente appoggiata da Austria, Francia, Germania e Italia, che hanno ribadito che “l’arte e la musica non devono escludere, ma promuovere l’unione, e bandire Israele dal Contest significherebbe tradire lo spirito originale per cui esso è nato, cioè unire popoli attraverso la musica”.
La RAI, in particolare, ha scritto una nota: “Negli ultimi anni, l’impegno del Paese è cresciuto costantemente per la più longeva manifestazione musicale internazionale, capace di unire culture diverse in una celebrazione comune. L’impegno della RAI all’interno della competizione è una conferma della volontà di rafforzare il ruolo dell’Italia nella promozione musicale, culturale e di spettacolo internazionale [..] In qualità di membro dei Big Five, è sempre stata tra i Paesi che più hanno contribuito allo sviluppo e al successo internazionale della trasmissione”. Dopo la notizia, è scoppiata un’ulteriore polemica, in quanto molti cittadini italiani hanno considerato coraggiosa la scelta dei Paesi che hanno boicottato, invitando anche la loro Nazione a prendere una posizione forte e simbolica contro il genocidio ancora in corso: ritirando l’Italia dall’ESC e decidendo di non trasmettere la manifestazione, la RAI si schiererebbe in una posizione eticamente giustificabile, difendendo i valori di dignità umana e uguaglianza, di cui la stessa manifestazione si professa rappresentante.
La maggioranza delle emittenti pubbliche che fanno parte dell’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU), hanno anche tranquillamente accettato la modifica del regolamento della competizione proposta dagli organizzatori: questa prevede soprattutto una riduzione del numero massimo di voti per votante, fissato a 10 anziché 20, e una maggiore rilevanza delle giurie tecniche, nuovamente presenti alle semifinali, invece che solo alla Finale. Dopo l’Assemblea, inoltre, la presidente dell’EBU, Delphine Ernotte Cunci, ha affermato: “Il risultato di questa votazione dimostra l’impegno condiviso dei nostri membri nel tutelare la trasparenza e la fiducia nel più grande Contest musicale dal vivo al mondo [..] Le discussioni hanno portato a cambiamenti significativi nelle regole dell’ESC, garantendo unità e scambio culturale”.
L’edizione 2026 dell’ESC, di cui l’elenco completo dei partecipanti verrà pubblicato entro Natale, si appresta a diventare una delle più discusse della storia, soprattutto per la divisione politica da essa già suscitata. La crisi aperta dalla partecipazione di Israele e dal boicottaggio di alcuni Paesi mostra che il confine tra intrattenimento e geopolitica è sempre più labile: il boicottaggio in corso, senza precedenti, comporterà una perdita di spettatori, crisi di fiducia e un duro dibattito sul ruolo della cultura in contesti conflittuali. Allo stesso tempo, potrebbe nascere un’edizione del Festival più “politicizzata” o consapevole.
La sfida, per gli organizzatori e i paesi ancora dentro, sarà quella di dimostrare che la musica può continuare a costituire un ponte: il broadcaster austriaco (ORF) ha dichiarato che farà del proprio meglio affinché l’evento possa svolgersi comunque, superando questa crisi, ma resta da vedere se l’Eurovision riuscirà a compensare l’inevitabile perdita di pubblico in altri modi, magari con l’aumento del pubblico streaming o facendo leva sulla fedeltà degli spettatori storici.
A cura di Arianna Pisciarino