10 Dec, 2025 - 16:27

A Gaza tregua fantasma: prosegue la strage e la seconda fase dei negoziati è in stallo

A Gaza tregua fantasma: prosegue la strage e la seconda fase dei negoziati è in stallo

Due mesi dopo l’annuncio ufficiale del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, la situazione nella Striscia di Gaza rimane drammatica. Nonostante l’accordo mediato a ottobre da Egitto, Qatar e Stati Uniti, le operazioni militari israeliane non si sono fermate del tutto. Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, almeno 387 palestinesi sono stati uccisi nel corso di raid e scontri armati avvenuti dal 10 ottobre ad oggi, 10 dicembre 2025.

Israele giustifica queste azioni come “operazioni mirate contro cellule terroristiche” accusate di violare i termini della tregua, ma le organizzazioni internazionali denunciano un quadro molto diverso: quello di un cessate il fuoco fragile, violato ripetutamente e a caro prezzo per i civili.

Una tregua mai davvero iniziata

Il cessate il fuoco, annunciato dopo oltre un anno di guerra che aveva devastato Gaza e provocato un numero di vittime stimato in oltre 40.000 persone, avrebbe dovuto segnare l’avvio di una transizione politica e umanitaria. L’accordo, nella sua prima fase, prevedeva la sospensione totale delle ostilità, la parziale apertura dei valichi di frontiera e l’avvio di un piano di ricostruzione sotto supervisione internazionale.

Tuttavia, nei fatti, i bombardamenti non si sono mai interrotti completamente. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) sostengono di rispondere a lanci di razzi provenienti da Gaza, mentre Hamas e la Jihad Islamica accusano Israele di cercare pretesti per mantenere una pressione militare costante sulla Striscia. Le aree più colpite restano Khan Yunis e Rafah, dove migliaia di famiglie si sono rifugiate in campi improvvisati.

I negoziati in stallo

La seconda fase dell’accordo di cessate il fuoco, che avrebbe dovuto concretizzarsi entro novembre, è attualmente bloccata. Fonti diplomatiche riferiscono che i colloqui di Doha tra le delegazioni israeliana e palestinese si sono arenati sulla questione dei prigionieri e sulla definizione dei confini di sicurezza interni a Gaza.

Israele chiede garanzie sul disarmo di Hamas e sulla creazione di una “zona cuscinetto” lungo il confine, mentre Hamas insiste per un ritiro completo dell’esercito israeliano e per la fine del blocco imposto dal 2007. Anche gli Stati Uniti, storicamente principali mediatori, appaiono divisi: il presidente americano sostiene ufficialmente la necessità di “una soluzione a due Stati”, ma evita di esercitare pressioni dirette su Israele in un anno pre-elettorale.

Crisi umanitaria e accuse all’ONU

La situazione umanitaria resta catastrofica. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), oltre il 70% degli edifici di Gaza risulta distrutto o gravemente danneggiato, la popolazione non ha accesso regolare all’acqua potabile e il sistema sanitario è al collasso. Ospedali come Al-Shifa e Nasser funzionano a capacità ridotta, spesso senza elettricità o medicinali essenziali.

Le agenzie umanitarie denunciano inoltre che i convogli di aiuti vengono regolarmente bloccati o sottoposti a severi controlli israeliani, rallentando la distribuzione dei generi di prima necessità. Israele accusa l’ONU di “parzialità filo-Hamas”, mentre Tel Aviv difende le proprie restrizioni come necessarie per prevenire il contrabbando di armi. Nel frattempo, la popolazione civile paga il prezzo più alto: fame, epidemie e sfollamenti continui.

Pressioni internazionali e silenzio diplomatico

Nonostante le condanne formali di molte capitali europee e il monito del Segretario generale dell’ONU, le pressioni internazionali su Israele restano limitate. L’Unione Europea si è divisa tra i Paesi che chiedono sanzioni mirate e quelli — come Germania e Italia — che sostengono il diritto israeliano alla sicurezza.

Nel mondo arabo cresce la tensione: manifestazioni di solidarietà con Gaza si moltiplicano da Il Cairo a Beirut, e persino in Giordania il governo ha richiamato temporaneamente il proprio ambasciatore da Tel Aviv. Tuttavia, senza un consenso reale tra le potenze regionali, ogni tentativo di rilanciare i negoziati appare destinato a fallire.

Prospettive incerte

A due mesi dal cessate il fuoco, Gaza continua a vivere in una sospensione tra guerra e pace. Gli esperti parlano di “conflitto congelato”, simile a quello visto in Ucraina dopo le prime tregue del 2023: una situazione in cui non c’è più guerra aperta, ma neppure una vera pace.

Con quasi 400 nuovi morti in sessanta giorni e nessuna prospettiva concreta di ricostruzione, la tregua del 2025 rischia di passare alla storia come l’ennesima occasione mancata.

LEGGI ANCHE