Il disegno di legge per il contrasto all'antisemitismo continua a creare tensioni nel Pd. Dopo la fuga in avanti di Graziano Delrio, senatore dell’area riformista che nei giorni scorsi ha presentato una propria proposta per affrontare l’antisemitismo nelle scuole, nelle università e sul web, le divisioni interne al partito non si sono affatto placate.
Nonostante le pressioni della segretaria Elly Schlein per ottenere il ritiro del testo, solo tre parlamentari dem hanno fatto marcia indietro. Lo stesso Delrio ha deciso di non ritirare il disegno di legge, respingendo l’ostruzionismo interno e la definizione di proposta “personale” attribuitagli dai suoi stessi colleghi.
La vicenda, dunque, non solo resta aperta, ma si fa ancora più pesante: nelle fratture interne del Partito democratico si è inserita la maggioranza di centrodestra, che ha colto l’occasione per mettere in evidenza le ambiguità del Pd, soprattutto su un tema delicatissimo come quello della lotta all’antisemitismo.
Ad approfittare per primo della spaccatura interna al Pd è stato il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, che ieri ha fatto sapere di aver preso contatti con Delrio per cercare un’intesa e arrivare all’approvazione del ddl contro l’antisemitismo entro il 27 gennaio, Giornata della Memoria. Una ricostruzione però smentita dal senatore dem, che ha ridimensionato la portata del dialogo tra i due. “Con Gasparri abbiamo scambiato una battuta due giorni fa”, ha precisato Delrio, ribadendo comunque la sua intenzione di non ritirare la proposta.
Alle aperture di Gasparri si sono contrapposte le critiche degli alleati del campo largo. Tra i primi a insorgere, il deputato di Avs Angelo Bonelli, che nei giorni scorsi ha definito l’iniziativa “sconcertante”. Un gruppo di intellettuali – tra cui Anna Foa, Gad Lerner, Roberto Saviano – ha infine pubblicato un appello contro i quattro disegni di legge depositati in Parlamento, “inaccettabili e pericolosi”, perché finiscono per “equiparare qualsiasi critica politica a Israele all’antisemitismo”.
Il nodo della critica, sostengono gli oppositori, non riguarda la necessità di contrastare l’antisemitismo — fenomeno purtroppo in preoccupante crescita — bensì la definizione del fenomeno contenuta nel ddl Delrio.
La proposta dem adotta infatti la definizione dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance). Secondo tale definizione, tra i vari esempi elencati, è considerato antisemita “negare agli ebrei il diritto all’autodeterminazione, per esempio sostenendo che l’esistenza dello Stato di Israele sia un’espressione di razzismo”; “applicare due pesi e due misure nei confronti di Israele, pretendendo comportamenti non richiesti ad altri Stati democratici”; oppure “paragonare la politica israeliana contemporanea a quella dei nazisti”. La definizione, già utilizzata a livello internazionale e adottata anche dalle istituzioni europee, è comune a tutti e quattro i ddl presentati in Parlamento.
Non solo. L’altro punto ritenuto problematico del ddl Delrio — secondo i critici — riguarda l’articolo 4, che prevede che “nell’organismo di vigilanza di ogni università sia individuato un soggetto preposto all’attività di verifica e monitoraggio delle azioni per contrastare i fenomeni di antisemitismo”.
Le divisioni nel Partito democratico rischiano di diventare ancora più evidenti con l’inizio del nuovo anno. Come si diceva, infatti, in campo non c’è solo la proposta Delrio, ma altri tre diversi disegni di legge contro l’antisemitismo. Se la maggioranza andrà avanti con il proprio testo — come previsto — il Pd potrebbe ritrovarsi, già a gennaio, spaccato nel voto in Aula. La frattura esplosa in questi giorni si mostrerebbe così in modo plastico, con un evidente rischio d’immagine per la segretaria Schlein e per i dem, soprattutto su un tema così sensibile su cui nei tre anni scorsi si è tentato di mantenere un difficile equilibrio.
La premier, peraltro, potrebbe decidere di richiamare i partiti all’unità, chiedendo un segnale compatto in Parlamento. Uno scenario che costringerebbe il Pd o a dividersi in Aula, o a trovare un compromesso interno.
I tre anni di guerra condotta da Israele su Gaza, le accuse di genocidio e i crimini connessi, insieme alla crescente sensibilità della sinistra più critica verso Israele, rendono complessa la posizione della segretaria. Allo stesso tempo, la componente riformista — più solida nel suo sostegno a Israele e meno incline a concessioni— faticherebbe ad accettare un arretramento su un tema così cruciale. Una mediazione, oggi, sembra lontana.