La pubblicazione della nuova Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti segna un punto di svolta nella postura americana nell’Indo-Pacifico. Di fronte alle crescenti pressioni nella regione, l’amministrazione Trump definisce un approccio più assertivo, fondato sulla deterrenza, sul coinvolgimento degli alleati e sul potenziamento delle capacità navali e tecnologiche. La strategia mira a preservare la stabilità regionale e a evitare un conflitto aperto, mantenendo al tempo stesso la supremazia militare statunitense e un equilibrio di potere favorevole nell’Indo-Pacifico.
Nella nuova Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, la Casa Bianca ha delineato il piano per evitare una guerra con la Cina sulla questione di Taiwan.
L'amministrazione americana, sotto la guida di Donald Trump, si sta concentrando non solo sul rafforzamento delle capacità militari degli Stati Uniti, ma anche su quello dei paesi alleati, al fine di prevenire un eventuale conflitto con la Cina riguardo a Taiwan e al Mar Cinese Meridionale.
Il documento di 33 pagine affronta numerosi temi, tra cui la visione sull’Europa. Per quanto riguarda l’Asia, la strategia afferma chiaramente:
Il testo sottolinea inoltre che, per l’amministrazione Trump, l’instabilità attorno a Taiwan rappresenta un rischio significativo, sia per il ruolo centrale dell’isola nella produzione di semiconduttori, sia perché una parte considerevole del commercio mondiale passa attraverso le acque circostanti.
Va ricordato che la Cina considera Taiwan parte del proprio territorio e non ha mai escluso l’uso della forza per ottenere la riunificazione. La questione dell’isola è stata per anni un tema delicato nelle relazioni tra Washington e Pechino, e il presidente Trump sembra intenzionato a mantenere rapporti stabili con la Cina.
L’amministrazione ha quindi indicato l’obiettivo di costruire forze armate in grado di impedire qualunque aggressione lungo l’arco che si estende dal Giappone al Sud-est asiatico. Tuttavia, si evidenzia che “l’esercito americano non può, e non deve, farlo da solo”.
Da questa impostazione deriva la richiesta agli alleati di assumersi una quota maggiore di responsabilità, aumentando gli investimenti e impegnandosi attivamente nella difesa collettiva.
L’obiettivo è integrare la sicurezza in tutta l’area del Pacifico occidentale, rafforzando la deterrenza e impedendo che la Cina possa ottenere un vantaggio militare tale da rendere Taiwan impossibile da difendere.
Il documento mette in luce anche il rischio che una potenza rivale possa prendere il controllo del Mar Cinese Meridionale, una delle rotte commerciali più strategiche al mondo. In tale scenario, quella potenza potrebbe imporre “pedaggi” al traffico marittimo o, peggio ancora, decidere arbitrariamente di chiudere o riaprire le rotte. Entrambe le eventualità avrebbero effetti gravi sull’economia e sugli interessi degli Stati Uniti.
Per prevenire questo rischio, il testo afferma che saranno necessarie capacità navali più robuste.
La strategia traccia quindi una postura di vigilanza nell’Indo-Pacifico, accompagnata da una modernizzazione dell’industria della difesa e dal mantenimento del primato tecnologico a lungo termine. Questa visione combina deterrenza militare e leadership economica, trasformando vulnerabilità strutturali in strumenti di resilienza contro le ambizioni egemoniche nella regione.