Stop ai dazi agevolati per i Paesi in via di sviluppo che non accettano od ostacolano i rimpatri dei migranti irregolari. È quanto è stato deciso in questi giorni da Bruxelles, con un'intesa che promette di rivoluzionare il sistema di accoglienza/respingimenti dell'UE.
L’intesa provvisoria raggiunta dall’Unione Europea sul nuovo Sistema Generalizzato di Preferenze (GSP) segna, infatti, una svolta politica di primissimo piano, soprattutto per un Paese come l’Italia che vive in prima linea la gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo essendo insieme alla Grecia paese di primo approdo.
Per la prima volta dagli accordi di Dublino, l'UE dà il via libera a un collegamento diretto tra agevolazioni commerciali e cooperazione sui rimpatri, introducendo un cambio di paradigma che potrebbe ridefinire gli equilibri tra politica estera, commercio internazionale e controllo migratorio.
Per comprendere a pieno la portata della decisione, occorre sottolineare come da quasi cinque decenni l'Europa applichi dazi agevolati per le importazioni da paesi in via di sviluppo.
Paesi da cui proviene la stragrande maggioranza dei migranti che sbarcano sulle coste italiane e poi arrivane nel resto dell'Unione. Stati che spesso rallentano le procedure di rimpatri intralciando il sistema di gestione dei flussi migratori europeo.
Pur essendo ancora in attesa del via libera definitivo, l’accordo raggiunto nel trilogo tra Parlamento, Consiglio e Commissione rappresenta una vittoria per gli Stati membri più esposti, Italia in primis, che da anni chiedono strumenti più efficaci per la gestione dei paesi non collaborativi.
L'intesa sulla riforma Gps prevede la sospensione temporanea delle tariffe agevolate normalmente applicate ai paesi in via di sviluppo che rifiutano di accogliere i migranti irregolari rimpatriati.
Il dato di partenza è drammatico: solo il 35% dei rimpatri nell'UE va a buon fine. Paesi come Bangladesh, Senegal o Nigeria spesso non rilasciano i documenti necessari o rallentano le procedure, consapevoli di non subire conseguenze significative.
Tariffe ridotte su agricoltura, tessile e prodotti industriali rappresentano miliardi di euro per molte economie africane e asiatiche e minacciare la sospensione di tali benefici significa colpire un interesse concreto, non retorico.
Da qui l’insistenza italiana e degli altri paesi cosiddetti di 'frontiera' per inserire nel quadro normativo europeo un incentivo commerciale.
Le dichiarazioni degli eurodeputati italiani, come Nicola Procaccini (FdI), confermano come la condizionalità sui rimpatri sia percepita come “uno strumento finalmente efficace” per costruire liste di Paesi sicuri e gestire i trasferimenti con maggiore rapidità.
Per l'Italia, spesso accusata di essere troppo concentrata sul dossier migratorio, si tratta di una legittimazione istituzionale: il nuovo corso della politica dell'unione non considera più la migrazione un tema meridionale da lasciare ai Paesi di frontiera, ma un problema condiviso da affrontare con un approccio sistematico e unitario.
Se da un lato la riforma rappresenta una vittoria politica per il fronte italiano, dall’altro apre scenari complessi. Le ONG denunciano il rischio di “ricatti commerciali contro i Paesi più poveri”, temendo che misure simili possano aggravare fragilità economiche già profonde.
Per Bruxelles, la sfida sarà duplice: monitorare correttamente la cooperazione dei paesi partner — evitando arbitrarietà — e garantire che diritti umani, standard ambientali e condizioni di lavoro restino parte integrante del GSP.
Il compromesso finale, infatti, prevede un processo graduale e un dialogo obbligatorio di 12 mesi, oltre a un rinvio di due anni per i paesi meno sviluppati.
Sul piano interno, l’Italia ottiene una leva che potrà essere utilizzata anche nel nuovo quadro negoziale con i paesi nordafricani, riducendo la distanza tra politiche europee e realtà quotidiana degli sbarchi.
L'accordo non risolverà da solo la gestione dei flussi, ma rappresenta un tassello che rafforza la posizione italiana nei tavoli europei.
Per l’Italia, questa dimensione geopolitica è centrale: un Paese che chiede cooperazione sui rimpatri non può farlo solo con appelli morali, ma attraverso una diplomazia degli interessi concreti.
Una svolta che, se confermata, ridisegnerà non solo le relazioni con i paesi terzi, ma anche il futuro politico del continente.