Oggi, Marco Travaglio ha deciso di lasciare in pace Zelensky, reo di resistere da quattro anni all'invasore russo, e di dedicarsi a Piero Fassino.
L'ex sindaco di Torino, segretario dei Ds e ministro con i governi D'Alema, d'altronde, ai suoi occhi, si è macchiato di una colpa gravissima: in visita alla Knesset con una delegazione di parlamentari italiani, ha ricordato che Israele è una democrazia. L'unica del Medioriente.
Questo che è un semplice dato di fatto, però, è un'enormità per il direttore del Fatto. Un'enormità insopportabile.
Così, subito ha preso la penna in mano, anzi il manganello, e l'ha punito come si deve, fino a chiamarlo "pover'uomo" e ad auspicarne l'espulsione dal Partito Democratico.
L'editoriale di oggi di Marco Travaglio andrebbe ritagliato e conservato nella cartellina "antisemitismo nel Campo largo". E già: perché non è altro che una sfuriata contro un politico di centrosinistra che ha avuto l'ardire di difendere Israele, perché è stato scritto nei giorni in cui si moltiplicano gli episodi di razzismo verso gli ebrei italiani e perché ieri un ddl presentato dal senatore Pd Graziano Delrio per cercare di combattere questo fenomeno odioso è stato bocciato dalla stessa segretaria dem, Elly Schlein.
Insomma: questo è il clima. Ma diciamo che Travaglio ha saputo metterci la ciliegina sulla torta, una torta disgustosa.
L'articolo di Travaglio prende piede da una menzogna: Fassino da sempre è schierato molto chiaramente contro il governo Netanyahu. Basta scorrere i suoi social per constatarlo. E poi: sia all'interno del parlamento che nella società civile israeliana in tantissimi si oppongono all'attuale esecutivo. Basti pensare alle manifestazioni delle famiglie degli ostaggi, anche nei giorni più duri della guerra a Gaza. E al dibattito nato all'interno del mondo ebraico attorno all'opportunità di utilizzare la parola "genocidio".
Israele è una democrazia dove c'è una maggioranza e un'opposizione, dove si va a votare regolarmente (il prossimo appuntamento elettorale per eleggere il nuovo premier è nel 2026) e rappresenta una società libera. Cosa che certo non si può dire per i poveri palestinesi costretti a vivere sotto la dittatura di Hamas e per tutti gli altri Paesi di quell'area del mondo, dove vigono delle autocrazie, non delle democrazie liberali.
Ma tant'è: la lama di Marco Travaglio affonda facilmente contro Fassino perché affonda nel burro di un partito in crisi d'identità, un partito - il Pd - che anziché condannare e combattere senza se e senza ma l'antisemitismo prima ha deciso, con il suo responsabile Esteri, Peppe Provenzano di prendere le distanze dall'ex sindaco di Torino in missione alla Knesset; poi, con il capogruppo in Senato Francesco Boccia, di prendere le distanze dal Ddl Delrio.
E quindi: per il malcapitato Fassino, isolato dai suoi, sono vere e proprie manganellate. Travaglio utilizza tutto ciò che può pur di colpire l'ex segretario dei Ds nonché esponente di "Sinistra per Israele, due popoli due Stati":
Insomma, Travaglio mette in fila delle cose che nulla hanno a che vedere con la posizione politica che da sempre ha Piero Fassino su Israele, l'antisemitismo e la guerra a Gaza.
Il suo obiettivo è stato solo uno: infangarlo, delegittimarlo, bullizzarlo. E, infine, anche insultarlo.
È il metodo-Travaglio, bellezza. Il direttore del Fatto è una furia cieca contro chi non la pensa come lui: anziché affrontare nel merito le questioni, la mette sul personale infangando il malcapitato di turno.
Così, oggi, le sue manganellate sono toccate a Piero Fassino, di cui invoca l'espulsione dal Pd: il suo editoriale si conclude così:
Ma anche cos'altro deve capitare per far prendere una posizione ai vertici del Campo largo sull'antisemitismo.