Con un gioco di parole si potrebbe dire che “ la filosofia non è più di casa all’Accademia”, se pensiamo a quanto recentemente accaduto fra i vertici dell’esercito italiano e l’Università di Bologna. Come è noto, L’Accademia ad Atene fu fondata da Platone nel 387 Ac e da allora è diventata sinonimo di studi superiori e di università. Recentemente il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ha chiesto all’Università di Bologna di attivare un corso di filosofia presso l’Accademia militare di Modena, ricevendo però un diniego da parte dell’Ateneo Felsineo, che è la più antica università d’Europa. Ne è nata una polemica che ha investito anche la politica, con prese di posizione spesso critiche nei confronti dell’Università di Bologna. È opportuno ad un centro universitario rifiutare di attivare un corso di filosofia in un’Accademia militare, come nel caso in questione o in un’altra istituzione che chieda un’attività formativa?
Ne parliamo con il prof. Enrico Ferri, che insegna Filosofia del Diritto e Storia dei Paesi Islamici nell’Unicusano.

D) Professor Ferri, lei farebbe un corso di Filosofia del Diritto in un’Accademia Militare?
R) Se il mio Dipartimento valutasse opportuno attivare un Corso di Laurea in un’Accademia militare, non avrei nulla in contrario a tenervi un mio corso. Anche perché in quella sede, come in qualsiasi contesto di tipo universitario, starebbe a me scegliere le tematiche del corso.
D) Non avrebbe timore che il contesto potesse in qualche modo condizionare il suo insegnamento?
R) Non capisco in che modo potrebbe avvenire tale condizionamento. Al contrario, mi sembrano condivisibili le motivazioni all’origine di tale richiesta, di offrire la possibilità ai Cadetti dell’Accademia Militare di Modena di avere “un pensiero laterale all’interno dell’esercito, per dare la possibilità di pensare in maniera differente e per uscire dallo stereotipo del Marmittone o dalla sindrome della caserma”, per riprendere le parole del capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il generale Carmine Masiello.
D) Si può dire che l’Università di Bologna aveva l’obbligo giuridico, o almeno morale, di attivare un corso di Filosofia presso l’Accademia militare di Modena?
R) Non metterei la questione in questi termini. Un corso universitario presso un ente diverso dall’Università non si attiva automaticamente on demand, su richiesta. Ci devono essere delle condizioni, come ad esempio la copertura economica e la disponibilità del personale docente. Ci deve essere un numero congruo di iscritti e via dicendo. Immagini quali sarebbero le conseguenze, se si diffondesse la prassi di chiedere attivazioni di corsi universitari, presso le loro sedi, da parte di enti come l’Accademia di Modena. Per giunta, mi sembra di capire che gli iscritti non sarebbero stati molti.
D) Sembrerebbe che il rifiuto dell’Università di Bologna sia collegato al dissenso dei collettivi universitari, contrari ad una “militarizzazione della Facoltà”.
R) Mi sembra che il Dipartimento di Filosofia non abbia motivato il suo diniego e questo ha generato l’idea di retroscena poco presentabili. La situazione è stata gestita male da ambo le parti. Le autorità militari avrebbero dovuto prima verificare, anche in modo informale, le possibilità di una tale attivazione. L’Università di Bologna avrebbe dovuto chiarire meglio le sue ragioni e perché non ritenesse opportuna tale iniziativa.
D) Ma non le sembra strano che il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito rivendichi l’esigenza di formare gli ufficiali attraverso un “pensiero laterale”, per “uscire dallo stereotipo del marmittone e dalla sindrome della caserma”, mentre dei filosofi o degli studenti di sinistra neghino questa esigenza che segna un’apertura alla complessità del mondo contemporaneo.
R) Il generale Carmine Masiello prende atto di un’evidenza, della complessità della realtà politica e sociale del mondo di oggi, come della necessità di avere un approccio aperto, critico e spregiudicato alla contemporaneità. Allo stesso tempo, correttamente, vede l’utilità di introdurre la Filosofia nella formazione di alcuni ufficiali dell’Accademia, cioè di un approccio critico e aperto, scevro da pregiudizi verso la realtà. Mi sembra una lettura corretta in chiave metodologica, prima che contenutistica. Ma sulle modalità con cui è stata promossa questa richiesta forse ci sarebbe qualcosa da ridire. Un corso universitario non si attiva on demand, inviando una richiesta per posta.
D) I collettivi di sinistra dell’università di Bologna motivano questa opposizione per il ruolo dell’esercito italiano sullo scenario internazionale e mediorientale.
R) Sul piano personale posso condividere alcune critiche portate dai collettivi studenteschi al ruolo dell’esercito italiano. Ma come cittadino ricordo che l’esercito dipende dalle leggi dello stato e dal governo della Repubblica e come docente ribadisco che la crescita del livello culturale è sempre un fattore di progresso e di miglioramento.
D) Se lei dovesse fare un corso di Filosofia del Diritto in una Accademia militare, quale tematiche affronterebbe?
R) Le stesse del corso universitario di Filosofia del Diritto che tengo all’Unicusano: “I caratteri generali della democrazia ateniese del V e IV secolo AC”. Chiederei pure al prof. Francesco Cirillo, che ha ottenuto recentemente l’abilitazione da Associato, di tenere lo stesso seminario che svolge ad integrazione del mio Corso: “Contro Leocrate, sui doveri della cittadinanza”.
D) Mi permetto di osservare che questi temi non sembrano molto legati alla contemporaneità a cui lei faceva riferimento.
R) Io non faccio un corso di archeologia ma sui caratteri e i principi della democrazia greca, quelli presi come riferimento dalle democrazie moderne, a partire dal nome “democrazia”, che sta a significare che il potere appartiene al popolo, cioè ai cittadini, che lo esercitano secondo il sistema politico democratico, fondato sull’uguaglianza politica di tutti i cittadini e su principi di libertà, tanto in ambito politico che nella sfera personale. Ad esempio, la libertà di critica del potere, come di singoli politici, non ha limiti. Basta leggere Aristofane, per rendersene conto. Studiare le democrazia greca, inoltre, aiuta a comprendere i non pochi limiti e paradossi di molte democrazie contemporanee.
D) Ad esempio?
R) Sarebbe lungo l’elenco. Pensiamo ad esempio al dibattito sia in ambito italiano che internazionale, sul divieto di superare il secondo mandato nella gestione di molte cariche. Se ne è parlato in Italia, a proposito di elezioni regionali, ma pure per un possibile terzo mandato di Trump alla presidenza degli States. Adducendo l’argomento di una presunta competenza che andrebbe riconosciuta e premiata con un ulteriore conferma dell’incarico.
D) Lei non è di quest’avviso?
R) La democrazia si fonda sulla partecipazione/gestione collettiva, sul coinvolgimento del maggior numero possibile dei cittadini nell’amministrazione della polis. Non mira a creare élites di specialisti, ma a diffondere il potere e generalizzare il suo esercizio. Solo alcune cariche, come quelle militari o altre che richiedono un’alta specializzazione tecnica, ad Atene erano rinnovabili dopo il secondo mandato. Ma con limiti e controlli esercitabili da ogni cittadino. Non è un caso che una delle caratteristiche delle autocrazie e delle dittature sia la mancanza di limiti temporali nella gestione del potere da parte di chi comanda. Si vedano, ad esempio, la Cina, la Russia, la Corea del Nord.
D) Il seminario sui doveri della cittadinanza a cosa si riferisce? Quali sarebbero questi doveri, se si possono definire in poche battute?
R) Dopo la battaglia di Cheronea, che vide gli Ateniesi sconfitti da Filippo il Macedone, Leocrate, cittadino ateniese, vendette tutti i suoi beni e abbandonò Atene. Qualche anno dopo ritornò nella capitale dell’Attica e fu messo sotto processo, su iniziativa di Licurgo. L’accusa era di diserzione, di tradimento. La tesi dell’accusa riprendeva argomenti ricorrenti fra i sostenitori della democrazia: “La città non è fatta di pietre, le sue mura sono i suoi cittadini. La partecipazione di ognuno garantisce la vita politica, lo sviluppo sociale, la difesa comune, la tutela del patrimonio culturale e delle tradizioni. Se tutti abbandonassero la città questa non esisterebbe più, le mura sarebbe indifese, le tombe degli antenati coperte dalle sterpaglie, i monumenti in rovina”. In altre parole, per rispondere alla sua domanda, i doveri fondamentali del cittadino sono coinvolgimento e partecipazione.
D) Forse un corso come il suo potrebbe essere utile agli allievi dell’Accademia militare di Modena. Ma anche ad alcuni suoi colleghi dell’Università.
R) Io credo che potrebbe essere utile anche a molti politici.