L’inchiesta della Procura di Milano sulla scalata di Mps in Mediobanca non è affatto chiusa. Anzi, per gli investigatori “il grosso del lavoro inizia adesso”, perché l’enorme mole di documenti raccolti con perquisizioni e acquisizioni va analizzata punto per punto. L’impianto accusatorio, che ruota attorno all’ipotesi di un presunto concerto occulto con sbocco finale su Generali, resta in piedi e non mostra segnali di arretramento.
Caltagirone, Milleri e l’amministratore delegato di Mps, Lovaglio, sono formalmente indagati. Ma l’attenzione romana si concentra soprattutto su un passaggio della Procura che, pur non avendo valore penale, produce effetti politici immediati: il ruolo del Mef sarebbe stato “significativo” in uno dei cinque punti del presunto concerto, pur non essendo oggetto d’indagine.
È una frase tecnica, quasi burocratica, ma sufficiente per aprire un fronte di tensione tra maggioranza e opposizione.
La Procura lo chiarisce senza ambiguità: il Mef non è una persona fisica e non può commettere reati. Tradotto: nessun fascicolo, nessuna contestazione, nessuna ipotesi di illecito nei confronti del ministero o dei suoi vertici.
Eppure il riferimento al ruolo “significativo” – che tecnicamente può indicare una presenza istituzionale, un’interlocuzione o una decisione amministrativa influente – ha lasciato più di un interrogativo nelle stanze della politica. Non al punto da parlare di rischio giudiziario, ma abbastanza da produrre una certa inquietudine.
Per ora il ministro Giancarlo Giorgetti mantiene un profilo silenzioso, lontanissimo da qualunque incidente dialettico: nessuna replica, nessuna fuga in avanti, nessun commento. La linea, riferiscono fonti leghiste, è “tenere la testa bassa e lavorare sulla manovra di bilancio in arrivo”. Ma nei corridoi di Montecitorio il tema non è tanto giudiziario quanto politico: quanto peserà questo passaggio nel dibattito parlamentare?
Dalla parte del Partito Democratico e di altre forze di opposizione circola una lettura: il “punto significativo” citato dai pm potrebbe riguardare l’altro dossier che, mesi fa, era sul tavolo del governo — la possibile operazione con Unicredit. Una trattativa complessa, tramontata rapidamente, che secondo alcuni meriterebbe di essere riconsiderata alla luce dell’attuale scenario.
Nessuna accusa diretta, ma il sospetto politico è che alcune scelte del passato, compreso il modo in cui fu gestita l’opzione Unicredit, possano oggi reincastrarsi nel quadro più ampio delle operazioni che hanno portato Mps a rilevare il 7% di Mediobanca. Da qui la richiesta insistita di un’informativa alle Camere: sia del ministro Giorgetti sia, eventualmente, della presidente Meloni.
A rendere tutto più delicato è la presenza nelle carte del famoso sms attribuito al ministro, elemento che l’opposizione intende riportare in aula per chiedere chiarimenti politici, non giudiziari.
Dal fronte della maggioranza il messaggio è univoco: “nessuna preoccupazione”. Il Mef, ricordano, ha ridotto la propria quota in Mps negli ultimi anni fino all’attuale 11,3 per cento, lasciando poi che fosse il mercato a decidere. “Non c’è alcuna interferenza”, insistono fonti parlamentari vicine alla Lega. La linea è quella esposta nella nota ministeriale dei giorni scorsi: le operazioni su Mps e Mediobanca sono state condotte secondo le regole del mercato.
E tuttavia, anche dietro questo fronte compatto, si avverte una certa prudenza. Non per timore di nuovi indagati – uno scenario che nessuno, né a Roma né a Milano, ritiene realistico – ma perché il dossier rischia di trasformarsi in un caso politico proprio mentre il governo è impegnato nella fase più delicata della Legge di Bilancio.
A Palazzo Chigi si spera che la vicenda resti confinata nell’alveo tecnico-giudiziario, senza produrre scosse politiche immediate. Ma nessuno ignora che la combinazione tra un’inchiesta aperta, un riferimento ambiguo e la pressione delle opposizioni possa diventare un tema potenzialmente destabilizzante.