Nel tribunale di Marco Travaglio, oggi, a salire sul banco degli imputati è nientemeno che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Due i capi di imputazione che gli muove il direttore del Fatto Quotidiano.
Il primo è quello di aver espresso solidarietà alla comunità ebraica romana dopo gli atti di vandalismo alla sinagoga di Monteverde.
Il secondo è quello di non aver zittito l'ammiraglio Cavo Dragone, presidente del Comitato militare Nato, che ha annunciato la possibilità di azioni di difesa preventiva nei confronti della Russia.
Per il giudice Marco Travaglio, il nostro Presidente della Repubblica merita una doppia condanna. Sia per aver difeso la comunità ebraica dopo gli atti di vandalismo registrati in una sinagoga di Roma, sia perché non ha detto nulla a seguito delle parole di Cavo Dragone, il presidente del Comitato militare Nato, che al Financial Times ha annunciato la possibilità di azioni di difesa preventiva più incisive nei confronti del regime di Putin.
Travaglio sentenzia così:
Per quanto successo alla sinagoga di Monteverde, il direttore del Fatto la mette così:
Insomma: Travaglio utilizza il metodo più antico del mondo per giustificare gli atti di antisemitismo: le vittime diventano carnefici.
L'altra colpa di cui si macchia il Presidente Mattarella, poi, è quella di non aver richiamato all'ordine l'ammiraglio Cavo Dragone che, davanti alla guerra ibrida che già da tempo la Russia ha aperto nei confronti dell'Europa e dei Paesi Nato, non ha escluso risposte più incisive da parte dell'Alleanza Atlantica per difendere i nostri interessi.
Secondo il direttore del Fatto, in questo caso, Mattarella si macchia addirittura di attentato alla Costituzione:
Anche in questo caso, la realtà capovolta. Ad attentare alla libertà degli altri popoli è la Russia che dal febbraio 2022 ha invaso l'Ucraina e che da anni promuove la guerra ibrida anche contro l'Italia.
Secondo Travaglio, è Mattarella il guerrafondaio. Non Putin. Ma non è un caso che sui social il direttore del Fatto sia ormai sempre più riconosciuto come l'Emilio Fede del dittatore russo.