Il caso dei dossieraggi illeciti effettuati dall'ex luogotenente della Guardia di Finanza Pasquale Striano torna al centro del dibattito pubblico, complici le nuove rivelazioni pubblicate da Libero.
Nei giorni scorsi, il quotidiano ha ripercorso le modalità con cui nel 2019 la Direzione nazionale antimafia (DNA) avrebbe avviato verifiche anomale sull’allora senatore della Lega, Armando Siri, in relazione all’acquisto di un’abitazione.
Secondo le carte giudiziarie citate, Federico Cafiero De Raho, all’epoca Procuratore nazionale antimafia e oggi deputato del Movimento 5 Stelle, avrebbe seguito da vicino la Sos relativa al mutuo concesso a Siri dalla Banca Agricola Commerciale, arrivando a sollecitare diversi approfondimenti pur in assenza di presupposti giurisdizionali che giustificassero un intervento della DNA da lui guidata.
Un’attenzione che — sostiene Libero — appare motivata più da ragioni politiche che investigative, dato che la segnalazione non ricadeva, appunto, nelle competenze dell’antimafia. Un elemento, questo, che alimenta i dubbi di chi ritiene che De Raho, forte della sua posizione apicale, non potesse non essere consapevole del sistema di accessi sistematici e irregolari che il finanziere Striano, al centro di questa storia, avrebbe messo in piedi.
Ma facciamo un passo indietro. Il caso degli accessi abusivi e dei dossieraggi esplode nel 2022, quando il ministro Guido Crosetto — dopo alcune inchieste del quotidiano Domani a lui dedicate — presenta un esposto per verificare la provenienza delle informazioni pubblicate, sospettando un accesso illecito a banche dati riservate.
L’indagine della Procura conferma l’intuizione del ministro e l’attenzione si concentra sul finanziere Pasquale Striano - responsabile operativo del gruppo “SOS”, che analizza le Segnalazioni di Operazioni Sospette provenienti dall’UIF di Bankitalia - e sull’allora magistrato della Direzione Nazionale Antimafia, Antonio Laudati.
Quello che emerge è inquietante: secondo le ricostruzioni, Striano avrebbe effettuato migliaia di accessi abusivi ai sistemi informatici dell’Antimafia per recuperare informazioni che sarebbero poi state trasmesse illecitamente ad alcuni giornalisti. Una “ricerca spasmodica”, come l’ha definita il procuratore umbro Raffaele Cantone, rivolta verso “persone mediaticamente esposte” come vip, imprenditori e soprattutto politici.
Ed è proprio il dato politico — in particolare l’elevato numero di accessi abusivi riservato a esponenti della Lega dopo la caduta del governo giallo-verde, il Conte I— a rendere ancor più controversa la posizione dell’allora procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, che ha sempre sostenuto di non aver avuto contezza degli accessi effettuati dal gruppo SOS.
L’interessamento dimostrato nel caso della segnalazione riguardante Armando Siri, quando De Raho fu protagonista di diverse richieste di informazioni, solleva infatti interrogativi importanti.
Secondo le carte dell’inchiesta, De Raho interviene sul caso Siri per la prima volta nel maggio 2019, quando scrive alla Dia, alla Guardia di Finanza e al direttore dell’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia per chiedere informazioni sull’esistenza di una segnalazione di operazione sospetta relativa al mutuo dell’allora senatore leghista. Il magistrato domanda in particolare gli estremi della segnalazione, che non risulta “pervenuta” alla sua Procura nazionale antimafia.
Nonostante i colleghi lo rassicurino sul fatto che la vicenda non rientri affatto nelle competenze dell’Antimafia, De Raho prosegue con gli accertamenti, ipotizzando che la Sos possa essere arrivata alla Dia con altri codici o in forme differenti. Anche la successiva conferma che la segnalazione non interessava la DNA non sembra convincerlo: il procuratore decide infatti di scrivere nuovamente sia alla Dia sia alla Guardia di Finanza.
Solo un mese dopo — come emerge dagli atti —De Raho trasmette alla Procura di Roma gli accertamenti del gruppo SOS sull’immobile acquistato da Siri.
Da qui le domande che attraversano oggi il dibattito: perché De Raho mostrò un interessamento così forte per una materia che, era stato appurato, non rientrava nel perimetro dell’Antimafia? E perché, nonostante le indicazioni contrarie, gli approfondimenti furono comunque svolti?
Gli articoli di Libero hanno inevitabilmente sollevato nuovamente un polverone politico attorno alla vicenda. La Lega, in particolare, si è posta sulle barricate: oltre a chiedere che Federico Cafiero De Raho rassegni il mandato nella Commissione parlamentare antimafia — da cui, sottolineano i leghisti, ha accesso anche alle carte relative al caso dossieraggi — il partito ha annunciato che chiederà un intervento del ministro della Giustizia Carlo Nordio, del presidente della Camera Lorenzo Fontana e del comandante generale della Guardia di Finanza Andrea De Gennaro.
“La Lega pretende chiarezza sui mandanti e sull’intollerabile violazione delle regole: Cafiero De Raho può mantenere un ruolo rilevante nella Commissione d’inchiesta sulle mafie?” si legge in una nota diffusa da via Bellerio.
Il diretto interessato, Federico Cafiero De Raho, ha però respinto con forza le accuse, da lui definite “calunnie”:
“Oggi assistiamo all’ennesima manipolazione della verità”, ha poi concluso De Raho, “per creare una suggestione collettiva finalizzata al discredito della mia persona e della magistratura, in vista del referendum sulla separazione delle carriere”.