In Italia è scoppiata la corsa all'oro della Banca d'Italia. Un vecchio pallino della destra italiana che in questi giorni è ritornato alla ribalta della cronaca politica grazie a un emendamento presentato da Fratelli d'Italia alla Legge di Bilancio 2026.
La proposta reca la firma di Lucio Malan, capogruppo al Senato del partito di Giorgia Meloni e prevede il passaggio delle riserve auree detenute nelle casseforti di Bankitalia a quelle dello Stato. Secondo Mala, l'oro appartiene al popolo italiano e quindi deve essere gestito dalla collettività.
L'emendamento, nonostante la rigidità del quadro fiscale e il rigetto di oltre 100 emendamenti, è stato ammesso tra quelli al vaglio del voto della Commissione Bilancio e se approvato diventerebbe parte integrante della Legge di Bilancio.
Da una parte, la maggioranza guidata da FdI rivendica la sovranità nazionale sulla ricchezza aurea, mentre dall'altra si levano voci critiche che accusano la proposta di mettere a rischio l'indipendenza della banca centrale e la stabilità finanziaria del Paese.
L'Italia possiede la terza più grande riserva aurea al mondo, con un totale di circa 2.452 tonnellate di oro, per un valore stimato superiore a 250 miliardi di euro. La maggior parte di questo oro, circa 1.195 tonnellate, è custodita nei caveau della Banca d'Italia a Palazzo Koch, Roma.
Queste riserve non sono solo un tesoro storico, ma rappresentano un importante strumento di credibilità per la moneta unica europea, mostrando la solidità patrimoniale del Paese nell'ambito dell'Eurosistema.
Inoltre, queste riserve hanno radici storiche profonde: la Banca d'Italia nasce nel 1893 con una dotazione aurea di 78 tonnellate, che si è progressivamente accresciuta nei decenni successivi, attraversando eventi storici delicati come la Seconda Guerra Mondiale e operazioni finanziarie cruciali degli anni Settanta e Ottanta.
Le ultime variazioni importanti risalgono al 1999, con il passaggio di parte dell'oro alla BCE per l'avvio dell'Unione Economica e Monetaria.
La linea di Fratelli d'Italia su questa materia è stata coerente negli anni: il partito insiste che l'oro, visto come un patrimonio nazionale, non debba essere considerato un bene privato della Banca d'Italia, che ha azionisti tra banche commerciali, ma vada riconosciuto come proprietà dello Stato e quindi del popolo italiano.
In particolare, FdI teme che senza un chiaro vincolo legale lo Stato potrebbe, in futuro, perdere il controllo su questi beni, con il rischio di vendite o utilizzi non nell’interesse nazionale.
L'emendamento mira quindi a difendere questa ricchezza, garantendo trasparenza e controllo parlamentare, e si inserisce in un contesto più ampio di rivendicazioni sovraniste e di recupero di autonomie in campo economico e monetario.
Una battaglia che negli anni è stata portata avanti anche dalla Lega.
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— Claudio Borghi A. (@borghi_claudio) November 20, 2025
BASTA SCIOCCHEZZE
Ecco come stanno le cose. pic.twitter.com/KI3M4qHwt6
L'oro è da sempre un simbolo di ricchezza e sicurezza economica. In Italia, le riserve auree, storicamente custodite nella Banca d'Italia, rappresentano una parte sostanziale del patrimonio nazionale.
Negli ultimi anni, soprattutto con le turbolenze economiche globali, il valore e il controllo di queste riserve sono diventati un tema di acceso dibattito politico.
Tuttavia, critici ed esperti di economia sottolineano i rischi legali e pratici del passaggio delle riserve nelle casse dello Stato.
L'indipendenza della banca centrale, sancita anche dalle norme europee, potrebbe essere compromessa, con potenziali ripercussioni sulla fiducia degli investitori e sulla stabilità della politica monetaria. Secondo alcuni giuristi, inoltre, l'iniziativa potrebbe entrare in conflitto con le direttive della BCE e con il principio dell'autonomia istituzionale della banca centrale nei paesi dell'Eurozona.
Nel dibattito politico e pubblico, la questione della gestione dell'oro di Banca d'Italia ha dunque riacceso una diatriba che coinvolge sovranità nazionale, vincoli europei, stabilità finanziaria e questioni simboliche legate al sentimento di appartenenza del popolo italiano alle proprie ricchezze.
La mossa politica di FdI, tuttavia, senza un accordo ampio e coperture finanziarie rischia di restare più una dichiarazione politica che un cambiamento reale, accendendo ulteriormente il confronto tra sovranisti e europeisti nel panorama economico italiano contemporaneo.