Nicola Pietrangeli è morto all’età di 92 anni tra il 30 novembre e il 1 dicembre 2025, dopo un periodo di salute molto fragile segnato da un lungo ricovero al Gemelli di Roma e da una “fine in salita” sul piano fisico e morale. La sua scomparsa chiude la parabola del primo grande mito del tennis italiano, due volte vincitore al Roland Garros e capitano della storica Davis del 1976.
Le notizie diffuse tra il 30 novembre e il 1 dicembre 2025 parlano di un decesso avvenuto a Roma, a 92 anni, al termine di un lungo periodo di fragilità legato all’età e a condizioni cliniche già compromesse da tempo. I principali quotidiani sportivi e generalisti raccontano che una vertigine lo aveva portato in ospedale mesi prima, innescando una degenza prolungata che si è rivelata “l’inizio della fine”, senza però entrare nei dettagli tecnici di una singola patologia fatale.
Le cronache sottolineano come il quadro di salute si fosse aggravato progressivamente nel 2025, tanto che da tempo era considerato “estremamente malato” e provato psicologicamente dalla perdita del figlio Giorgio, morta che lo aveva ulteriormente fiaccato. Nel racconto dei giornali la sua morte viene descritta come l’esito di un logoramento complessivo, più che come l’effetto improvviso di un singolo evento acuto, anche se il ricovero per problemi di equilibrio e la lunga degenza al Gemelli restano il passaggio sanitario decisivo.
Già nell’estate 2025 Pietrangeli era ricoverato da settimane al Policlinico Gemelli di Roma per quella che inizialmente doveva essere una serie di controlli di routine, trasformati poi in una degenza lunga che aveva destato preoccupazione tra tifosi e addetti ai lavori. Proprio in ospedale aveva appreso della morte del figlio Giorgio, scomparso a 59 anni per una malattia incurabile, episodio che molti resoconti indicano come un colpo durissimo sul piano psicologico.
Nelle sue ultime interviste aveva parlato apertamente di un corpo “larvale” e di una vita vissuta quasi in attesa della fine, con frasi in cui riconosceva di sentirsi superfluo e logorato dal dolore. A questo si aggiungeva una storia clinica complessa: nel 1996 gli era stato diagnosticato un cancro al colon, scoperto quasi per caso dopo perdite di sangue, quindi trattato chirurgicamente con successo e superato, esperienza da cui aveva tratto un forte impegno nel testimoniare quanto sia importante non sottovalutare i sintomi.
Negli ultimi mesi di vita, oltre alla fragilità fisica legata all’età e alle conseguenze del vecchio tumore, le cronache parlano di problemi di equilibrio, di una frattura all’anca operata e poi riabilitata, e di un progressivo affaticamento generale che lo portava a muoversi con grande difficoltà. Nonostante tutto, fino a poco tempo prima della morte aveva continuato a seguire il tennis, le imprese di Jannik Sinner e le vicende del movimento italiano, pur consapevole che la sua stagione personale stava ormai arrivando al capolinea.
Nicola Pietrangeli è stato il primo tennista italiano a vincere un torneo del Grande Slam in singolare, imponendosi al Roland Garros nel 1959 e nel 1960, oltre a conquistare titoli in doppio e misto che ne hanno consolidato il mito sulla terra rossa di Parigi. A Roma vinse due volte gli Internazionali d’Italia, nel 1957 e nel 1961, tanto che oggi uno dei campi simbolo del Foro Italico porta il suo nome, a testimonianza di un legame indissolubile con la capitale del tennis italiano.
Nel corso della carriera fu più volte inserito tra i primi dieci giocatori del mondo in epoca pre-ranking ATP, diventando un riferimento tecnico e carismatico per intere generazioni di campioni azzurri. Da capitano non giocatore guidò l’Italia alla storica vittoria in Coppa Davis del 1976, a Santiago del Cile, impresa che ancora oggi viene ricordata come uno dei momenti più alti dello sport nazionale, anche per il contesto politico e mediatico in cui maturò.
Conclusa la carriera agonistica, Pietrangeli è rimasto una figura centrale del tennis italiano come dirigente, commentatore, volto televisivo e ambasciatore di questo sport, fino all’ingresso nella Hall of Fame internazionale che ne ha sancito il ruolo di icona globale. Fino agli ultimi anni amava raccontare aneddoti, polemizzare sul presente e rivendicare, non senza ironia, di aver guadagnato infinitamente meno dei campioni di oggi, pur avendo scritto un capitolo irripetibile della storia del tennis mondiale.