Nel calcio si sa, le parole volano via, ma i fallimenti restano. E se c’è una frase che oggi suona come una previsione completamente sbagliata, è quella pronunciata da Massimiliano Allegri nel 2019, quando definì Massimo Cellino "il più bravo" nel panorama dirigenziale italiano.
Una dichiarazione che, col senno di poi, è invecchiata molto male, soprattutto alla luce del recente e clamoroso fallimento del Brescia Calcio, società che ha cessato l’attività dopo 114 anni.
E attenzione: chi scrive è un grande estimatore di Allegri, condivide la sua visione pragmatica e la capacità di leggere il calcio senza perdersi nelle mode del momento. Ma su Cellino, no: non c’era da fidarsi allora, e oggi ce ne sono tutte le prove.
Massimiliano Allegri, nel 2019, durante una conferenza stampa che sanciva il suo addio alla Juventus al termine della stagione, rispondeva alle critiche ricevute per lo stile di gioco della sua squadra, accusata da molti di non offrire un calcio spettacolare. Per difendere la sua visione pragmatica, disse che "vincono sempre i più bravi", sottolineando l’importanza dei risultati.
Fu in quel contesto che citò Cellino come esempio di uomo spesso criticato ma capace, secondo lui, di ottenere risultati:
Oggi quella frase pesa come un macigno, perché nel frattempo il presidente “geniale” ha guidato il club in una spirale di caos culminata con la sparizione del Brescia.
Da quella promozione si sono susseguite stagioni tortuose, caratterizzate da decisioni inspiegabili e gestioni finanziarie opache. Il risultato? Una società fallita, tifosi traditi e un’intera città privata del proprio simbolo sportivo.
E allora, se davvero "vincono sempre i più bravi", come disse Allegri nella stessa conferenza, com’è possibile che Cellino abbia perso tutto, fino all’esistenza stessa del club che gestiva?
A conti fatti, il fallimento del Brescia Calcio è l’epilogo perfetto di una presidenza basata più sull’istinto che sulla progettualità. E la frase di Allegri, in quell’ottica, resta il manifesto di una fiducia mal riposta.
È legittimo che un allenatore difenda un dirigente con cui ha condiviso esperienze e battaglie, ma la realtà è più testarda delle conferenze stampa.
Massimo Cellino non è stato più “il bravo”, è stato il più confusionario. E il calcio, per quanto romantico, non perdona chi confonde la passione con la gestione impulsiva.
Allegri, che ha sempre fatto dell’equilibrio la sua immagine, probabilmente oggi sorriderebbe di quella frase. Magari con l’amaro in bocca.
Perché nel calcio si vince anche – e soprattutto – lasciando qualcosa in piedi. E Cellino, dopo tutto, ha lasciato solo macerie.