Adolf Hitler, il dittatore responsabile dell’Olocausto e della Seconda guerra mondiale, fu realmente candidato al Premio Nobel per la Pace nel 1939. Questo fatto, spesso citato come curiosità storica, è tanto sorprendente quanto frainteso: la candidatura di Hitler non fu né seria né sostenuta da reali motivazioni pacifiste, ma nacque come una provocazione satirica che finì per essere mal interpretata sia all’epoca che nei decenni successivi.
Nel gennaio del 1939, l’Europa era ancora scossa dagli effetti della Conferenza di Monaco, tenutasi pochi mesi prima. In quell’occasione, le potenze occidentali — guidate dal primo ministro britannico Neville Chamberlain — avevano accettato che la Germania nazista annettesse i Sudeti, una regione della Cecoslovacchia abitata in prevalenza da tedeschi. Questa politica di appeasement, volta a evitare un nuovo conflitto mondiale, fu vista da alcuni come un tentativo di salvare la pace, da altri come una resa alle pretese di Hitler.
A seguito di questi eventi, dodici membri del parlamento svedese proposero la candidatura di Chamberlain al Nobel per la Pace, sostenendo che avesse “salvato il mondo da una terribile catastrofe” grazie agli accordi di Monaco. Questa iniziativa suscitò la reazione ironica di Erik Gottfrid Christian Brandt, deputato socialdemocratico e noto antifascista.
Il 27 gennaio 1939, Brandt inviò una lettera al Comitato norvegese per il Nobel, candidando formalmente Adolf Hitler al Premio per la Pace. Nel testo, Brandt descriveva Hitler come “un combattente donato da Dio per la pace” e “il principe della pace sulla terra”, arrivando a lodare persino il Mein Kampf come “la migliore e più popolare opera letteraria del mondo dopo la Bibbia”. Queste affermazioni, lette oggi, appaiono assurde, ma già allora erano cariche di sarcasmo.
Brandt spiegò successivamente che la sua era una risposta ironica e indignata alla candidatura di Chamberlain, che a suo avviso non meritava un riconoscimento per aver “pacificato” l’Europa consegnando la Cecoslovacchia a Hitler. Brandt voleva così sottolineare, con sarcasmo, l’assurdità di premiare chi aveva favorito la politica aggressiva del dittatore tedesco.
La candidatura di Hitler provocò una tempesta di indignazione in Svezia e all’estero. Brandt fu accusato di essere fascista e traditore, venne escluso da conferenze e associazioni, e dovette spiegare pubblicamente le sue reali intenzioni. In un’intervista al quotidiano svedese Svenska Morgonposten, dichiarò che la sua proposta era volutamente ironica e che mirava a “inchiodare Hitler al muro della vergogna come nemico numero uno della pace nel mondo”.
Quando si rese conto che la satira non era stata compresa, Brandt ritirò ufficialmente la candidatura il 1° febbraio 1939, pochi giorni dopo averla presentata e comunque entro il termine ultimo per le nomine di quell’anno. La sua intenzione era stata fraintesa, ma la vicenda rimase negli archivi del Nobel come uno degli episodi più controversi della storia del premio.
Anche se la candidatura fosse rimasta, Hitler non avrebbe mai potuto ricevere il Nobel. Già nel 1935, dopo che il premio era stato assegnato al pacifista tedesco Carl von Ossietzky — oppositore del regime nazista — Hitler aveva proibito a qualsiasi cittadino tedesco di accettare premi Nobel. Inoltre, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale nel settembre 1939, il premio per la pace non fu assegnato fino al 1944.