Il 1° luglio 2025 la Corte di Cassazione ha messo un punto fermo su uno dei capitoli più drammatici della storia italiana: la strage di Bologna del 2 agosto 1980. Con la sentenza definitiva, Paolo Bellini, 72 anni, ex esponente di Avanguardia Nazionale, è stato condannato all’ergastolo per concorso nell’attentato che provocò la morte di 85 persone e oltre 200 feriti, il più grave attentato terroristico della Repubblica italiana.
Bellini è stato una figura di spicco della destra eversiva italiana degli anni Settanta e Ottanta, militante nell’organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale, coinvolta in numerosi episodi di violenza politica e tentativi di destabilizzazione dell’ordine democratico. Soprannominato la “Primula Nera reggiana”, Bellini è stato anche legato a vicende criminali come sicario della ‘ndrangheta, e il suo nome era già apparso in altre inchieste su terrorismo e criminalità organizzata.
La mattina del 2 agosto 1980, una bomba al plastico esplose nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Bologna, trasformando lo scalo in una trappola mortale. Per decenni, le indagini si sono concentrate su vari gruppi eversivi di estrema destra, portando alle condanne definitive di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e, più recentemente, Gilberto Cavallini, tutti appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR).
Solo negli ultimi anni, grazie a nuove prove, Bellini è stato individuato come il “quinto uomo” del commando. L’elemento chiave è stato il riconoscimento del suo volto in un fotogramma di un filmino amatoriale girato pochi minuti dopo l’esplosione, conservato per decenni negli archivi giudiziari e riscoperto dagli avvocati di parte civile. La sua ex moglie, intercettata e poi sentita sotto giuramento, lo ha identificato senza esitazione, confermando la sua presenza a Bologna quella mattina.
A rafforzare l’accusa, la ricostruzione dei movimenti di Bellini: secondo i giudici, avrebbe fornito supporto materiale e logistico al gruppo di fuoco, trasportando parte dell’esplosivo o aiutando chi posizionò la bomba. Il tentativo di costruirsi un alibi – portando con sé la nipotina di 8 anni – è stato smontato dalle testimonianze della moglie e del cognato, che hanno smentito la versione dell’imputato sul suo arrivo a Rimini, rendendo plausibile la sua presenza a Bologna all’ora dell’attentato.
La sentenza sottolinea che la strage non fu un atto isolato, ma parte di un disegno eversivo orchestrato e finanziato da esponenti della loggia massonica P2, come Licio Gelli, Umberto Ortolani e Mario Tedeschi, e realizzato da una rete di gruppi terroristici di estrema destra, tra cui i NAR, Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Bellini, in questo schema, avrebbe avuto un ruolo centrale nel collegamento tra i vari ambienti eversivi.
Il quadro probatorio è stato definito “solido” dal sostituto procuratore generale della Cassazione, Antonio Balsamo, che ha evidenziato come la sentenza impugnata sia coerente e fondata su una pluralità di prove, valutate singolarmente e nel loro insieme. La motivazione della Corte d’Assise d’Appello di Bologna, confermata in Cassazione, ha riconosciuto la “consapevole e premeditata partecipazione attiva” di Bellini alla strage, respingendo i 18 motivi di ricorso presentati dalla difesa.
Oltre a Bellini, la Cassazione ha confermato la condanna a sei anni per l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio per aver nascosto informazioni sulle indagini, e a quattro anni per Domenico Catracchia, amministratore di condomini in via Gradoli a Roma, per false informazioni al pubblico ministero.