Si può passare quasi tutta la vita al fianco dello stesso compagno? In un’epoca dove i legami sentimentali parrebbero in via d’estinzione e dove c’è una vera e propria crisi che ha generato una crepa (forse irreparabile?), soprattutto nella mia generazione, quella dei trentenni, che ha svilito, sminuito e addirittura smembrato la costruzione delle relazioni, la risposta sembra essere no. Anzi, c’è una sorta di orgoglio, di tendenza generale a vantarsi di disprezzare il matrimonio e le unioni romantiche e a deridere chi ancora spera di trovare la sua metà. Di contro però accettare la fine di un amore con serenità è diventato sempre più difficile. A dircelo è l’aumento spaventoso dei casi di femminicidio, ma anche di stalking, minacce, atti persecutori, come se a livello globale fossimo ormai tutti inabili a lasciare andare qualcuno che abbiamo amato. Ma non è sempre l’incapacità a mollare la presa che rende un inferno il giungere al capolinea di un rapporto; a volte si continua a stare assieme per troppo tempo arrivando a detestarsi e finendo con l’essere schiacciati e inghiottiti dalla rabbia più cruda. Basti pensare a film come “La Guerra dei Roses” per ricordarsi quanto in basso può arrivare un essere umano tenuto al guinzaglio da un odio nero nero come il catrame.
Ma le persone sono davvero in grado di volere il bene degli altri lontano anche dalla più piccola, minuscola, forma d’egoismo? Per Jonás Trueba, regista spagnolo figlio del celebre Fernando Trueba, a quanto pare sì. Ce ne parla nel suo nuovo lungometraggio “Volveréis”, presentato in anteprima il 20 maggio 2024 al Festival di Cannes e distribuito nelle sale italiane a partire dallo scorso 12 giugno. Ale e Alex, una coppia piuttosto ordinaria, fatta eccezione per i mestieri che svolgono, regista lei e attore lui, dopo aver passato quindici anni insieme decidono di comune accordo di separarsi. Serenamente. In pace. Uniti nella fine come nell’inizio. Difatti vivono ancora sotto lo stesso tetto, dormono fianco a fianco, se pur senza l’intimità sessuale, condividono cene, pranzi, quasi ogni istante al di fuori dal lavoro. Eppure non sembrano amarsi più, non come dovrebbero per portare avanti un matrimonio. Da un’idea del padre di Ale, che sin da bambina le ha ripetuto che secondo lui si dovrebbero celebrare i divorzi e non i matrimoni, progetteranno di organizzare una festa di separazione. Del resto, per il papà di lei, quando qualcuno si sposa non si sa se durerà mentre quando ci si lascia sì. Il festeggiamento, dunque, dovrebbe essere un buon auguro per l’inizio di una vita nuova, un omaggio al salto nel vuoto verso l’imprevedibile.
A distanza di sei anni dal suo ultimo lungometraggio di finzione “La Virgen de Agosto”, e di quattro dall’uscita del suo documentario “Quién lo Impide”, Jonás Trueba ritorna sul grande schermo con una commedia gradevole che dal primo istante ti fa entrare, con estrema naturalezza, nella quotidianità di due individui che si vogliono molto bene e che si conoscono così tanto da anticipare l'uno i pensieri dell’altro. Sono presenti alcuni errori di ripresa e montaggio, forse intenzionali, ma che non ho comunque compreso. O meglio, ho capito quale poteva essere l’intento, però mi è risultato malriuscito. La narrazione è piacevole, ma non di spessore. Per quanto abbia apprezzato il tentativo di farti sentire attivamente parte della storia, come fossi un amico dei due coniugi, non commuove, non graffia, non ti trafigge dritto al cuore. Peccato, è da un po’ che non piango disperata al cinema. Speravo mi pungesse quel tanto che basta a lasciarmi in lacrime. È comunque una pellicola che consiglio a chi ha due ore libere, magari nelle domeniche pomeriggio estive. L’ho trovato carino, ma non incisivo.
Per concludere, se devo dire la mia sulla questione festeggiamenti di divorzio, sarebbe bello se in nome dell’affetto si celebrassero con gioia i momenti passati insieme, anche quelli brutti, condivisi e superati, per dirsi addio e non tanto la fine in sé, che per me rappresenta un lutto. Se ne fossimo capaci, sarebbe una nuova usanza da rendere nel tempo una bellissima tradizione. Tre stelle su cinque.