08 May, 2025 - 11:30

"La Solitudine dei Non Amati": il toccante esordio cinematografico della regista norvegese Lilja Ingolfsdottir

"La Solitudine dei Non Amati": il toccante esordio cinematografico della regista norvegese Lilja Ingolfsdottir

 

"La Solitudine dei Non Amati", critica

Dopo aver letto la trama de “La Solitudine dei Non Amati”, sabato sono entrata in sala aspettandomi di vedere un film su una donna che soffre di disturbo di personalità borderline e sulla sua incapacità di contenere gli attacchi d’ira. In un paio di articoli che avevo letto la protagonista veniva descritta come una persona che, all’interno del suo rapporto matrimoniale, aveva dei problemi nel gestire la rabbia, esplodendo di frequente. Eppure, iniziata la proiezione, più passavano i minuti più non riuscivo a capire. Mi sono ritrovata davanti Maria, una quarantenne norvegese, con quattro figli, due avuti col primo marito e due col secondo, distrutta, abbandonata a se stessa, senza aiuti concreti da parte di nessuno.

Sette anni prima a una festa, poco dopo aver divorziato, aveva incontrato Sigmund, un affascinante e biondissimo musicista, innamorandosene all’istante. Facendo lei la prima mossa, tra i due era scoppiata fulminea la passione e si era creata quel tipo di sintonia che aveva fatto capire subito a entrambi che non si trattava di un rapporto passeggero. Sigmund era amorevole, dolce, romantico, fantastico persino coi bambini ancora piccoli di lei. Di lì a poco Maria era rimasta incinta e dopo un po’ di tempo un’altra volta. Ecco, com'è purtroppo scontato che accada, passato qualche anno l’idillio si spezza e Sigmund comincia spesso a lasciare la moglie da sola a badare ai figli, mentre lui dorme in alberghi di lusso e passa le giornate a scrivere e registrare canzoni. Il suo flusso creativo (…) è così incontenibile che si dimentica di farle il bonifico per ricaricare il bancomat per permetterle di fare la spesa. Maria si ritrova così strappata da un finale fiabesco e gettata in quello di Cenerentola. In teoria dovrebbe lavorare anche lei, ma il suo lavoro e i suoi progetti sembrano essere meno rilevanti di quelli di lui. Aggiungiamoci che: la figlia minore ha meno di due anni, quindi necessita di attenzioni costanti; il figlio minore, di circa sei anni, è indisciplinato e ha problemi comportamentali, tipo spaccare i vetri delle finestre della sua scuola a colpi di sassi; il terzultimo, grazie a Dio, non crea disagi; la maggiore, infine, ormai adolescente, pur essendo studiosa ed educata con tutti, non lo è con sua madre, che invece insulta e aggredisce a parole quasi a ogni sospiro. 

Nessuno l’aiuta a fare la spesa, a pulire e riordinare la villetta in mezzo al nulla dove si è trasferita per amore di Sigmund, non ha soldi, sua madre non è affatto presente, e non ha neanche la libertà di farsi una doccia in pace. Il marito non la richiama al telefono, sparisce per giorni interi perché deve comporre musica (…). Ora, immaginatevi lui che a tarda sera rientra a casa dopo settimane di assenza, con un grande sorriso rilassato, mentre la moglie sta finendo di lavare i piatti, avendo già messo i bambini a dormire, esausta, stanca, nervosa, che da un lato è felice di rivederlo, ma dall’altro non lo sopporta più. Lui la vorrebbe di buon umore, disposta a concedersi carnalmente come faceva all’inizio della loro relazione. Poveretto, è infastidito e ferito dai malumori di lei. Già qui il mio senso di fastidio era divenuto insopportabile ripensando a ciò che avevo letto della trama. Però continuavo comunque, se pur a fatica, a concedere il beneficio del dubbio agli autori (entrambi uomini) di quegli scritti, aspettando che arrivassero gli abusi psicologici, le reazioni iraconde, mobili spaccati a martellate…almeno un piatto lanciato contro una parete. Niente. Piuttosto, come è giusto che sia, la protagonista esponeva il suo dissenso e la conversazione sfociava in una litigata. Folle? No. Anzi, le reazioni flemmatiche da stoccafisso di lui facevano arrabbiare più i presenti in sala (uomini compresi e questo mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo) che lei. In tutto questo lui decide di lasciarla, perché non riesce a sopportare il carattere di lei. Poverino. Vorrebbe addirittura che frequentasse un corso di gestione della rabbia.

E allora mi sono incazzata per davvero ripensando a quei due articoli letti, trovandomi dinnanzi la prova provata di quanto la mentalità patriarcale e maschilista venga ancora sfoggiata senza alcun imbarazzo e utilizzata per vittimizzare la figura maschile. Bene, dopo questo incipit allucinante, Maria prenderà la decisione migliore: fare la valigia e trasferirsi, da sola, per qualche giorno in un appartamento in città. Ma lei non vuole divorziare, si è convinta che la sua vita senza Sigmund non avrebbe alcuno scopo, che senza di lui lei non esisterebbe nemmeno. Prenderà dunque a fargli stalking? No, neppure. Come un cane bastonato, attenderà che lui le comunichi che decisione vuole prendere rispetto al proseguo del loro matrimonio. Cercando di andare in terapia di coppia, dopo solo un incontro, Sigmund, forzato dalla psicologa a dare una risposta alla moglie, la liquiderà poi con una mail a tarda notte. Ed è da qui che comincia la parte più importante del film. Maria, in un primo momento annientata e distrutta, incapace di vedere altro al di fuori del suo matrimonio, lavorerà su stessa, soprattutto con l’aiuto di una terapeuta meravigliosa, che avrei tanto voluto incontrare io. Il primo lungometraggio d’esordio della regista norvegese Lilja Ingolfsdottir è dolorosissimo e io non ho fatto altro che piangere per tre quarti del tempo.

La bravura della Ingolfsdottir risiede nel riuscire a trascinarti nelle evoluzioni emotive della protagonista, ma con naturalezza, senza strafare. Durante le prime scene, tra tenerezza e sgomento, ti monta la rabbia nei confronti di Sigmund e un senso di impotenza. Io ho anche provato un irrefrenabile istinto di aiutare Maria a pulire e riordinare, di accompagnarla a fare la spesa, di darle la possibilità di riposarsi e di sgridare la figlia maggiore, al punto tale che d’impeto mi stavo alzando per andare verso lo schermo e infilarmici dentro. Poi vieni colto da un senso di fastidio, da un prurito, da un’impazienza, nell’osservare lei che aspetta sofferente che lui le comunichi la già ovvia decisione. Subito dopo sprofondi nel dolore insieme a Maria. E, in ultimo, affronti con lei un complicato percorso di consapevolezza e guarigione. Accettando inoltre che all’interno delle relazioni di coppia tossiche o abusanti non esistono sempre e soltanto una vittima e un carnefice, ma c’è tutto un intricato e complesso universo di dinamiche dettate da traumi e vissuti personali che, spesso, rendono difficile o addirittura impossibile coesistere in maniera sana. A ogni modo, sono uscita dal cinema sentendomi devastata e guarita contemporaneamente. Tre virgola otto stelle su cinque.

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