Nel Mar Cinese Meridionale, uno dei teatri geopolitici più caldi del pianeta, la tensione tra Cina e Filippine ha raggiunto un nuovo apice nelle ultime ore. Al centro dello scontro c’è Sandy Cay, un piccolo isolotto sabbioso di appena 200 metri quadrati, divenuto simbolo della rivalità tra Pechino e Manila e, più in generale, delle dispute territoriali che coinvolgono gran parte delle isole Spratly. La notizia di oggi, 29 aprile 2025, conferma che la situazione resta estremamente fluida e rischia di avere ripercussioni ben oltre la dimensione locale.
La miccia si è accesa domenica scorsa, quando la guardia costiera cinese ha denunciato lo sbarco “illegale” di sei cittadini filippini su Sandy Cay, sostenendo di averli allontanati e di aver piantato la bandiera cinese sull’isolotto. Le autorità di Pechino hanno definito l’azione filippina una violazione della sovranità territoriale della Cina e hanno promesso di continuare a “difendere i propri diritti” nell’area, considerata strategica per la proiezione marittima cinese nel Pacifico.
La versione di Manila è diametralmente opposta: il vicedirettore generale del Consiglio di sicurezza nazionale filippino, Jonathan Malaya, ha smentito qualsiasi occupazione illegale da parte delle Filippine e ha accusato la Cina di “atteggiamento irresponsabile e intimidatorio”. Secondo le autorità filippine, l’operazione era una semplice esercitazione di sorveglianza marittima, legittima e svolta nelle acque di propria competenza.
Sandy Cay, benché minuscolo e disabitato, ha un valore strategico enorme. Si trova a poche centinaia di metri da Thitu (Pag-asa), l’isola più grande controllata dalle Filippine nelle Spratly e sede di una base militare e di una stazione della guardia costiera di Manila. Il controllo di Sandy Cay permetterebbe a uno dei due Paesi di rafforzare la propria posizione militare e giuridica sulle acque circostanti, ricche di risorse ittiche e potenzialmente di idrocarburi.
Inoltre, la presenza di navi militari e l’alternanza di bandiere issate sull’isolotto hanno un forte valore simbolico e politico: ogni atto di presenza viene interpretato come una riaffermazione della sovranità nazionale, in un contesto in cui nessuna delle due parti vuole cedere terreno.
La Cina rivendica quasi l’intero Mar Cinese Meridionale, incluse le Spratly, sulla base della cosiddetta “linea dei nove tratti”, una delimitazione storica non riconosciuta dal diritto internazionale. Le Filippine, invece, si appellano alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) e a una sentenza arbitrale del 2016 che ha riconosciuto la sovranità di Manila su molte delle aree contese, tra cui Sandy Cay e le acque vicine a Thitu.
Pechino però non ha mai accettato il verdetto internazionale e continua a rafforzare la propria presenza militare e civile nell’arcipelago, costruendo basi, porti e piste di atterraggio anche su isolotti artificiali. Manila, dal canto suo, cerca di consolidare il controllo delle proprie postazioni, sostenuta dagli Stati Uniti e da altri Paesi della regione che temono l’espansionismo cinese.
Nonostante le recenti schermaglie, la situazione sul terreno resta incerta. Secondo fonti internazionali, tra cui la BBC, non ci sono prove che la Cina abbia stabilito una presenza permanente su Sandy Cay: la guardia costiera cinese avrebbe lasciato l’area dopo aver piantato la bandiera, mentre le Filippine continuano a sorvegliare la zona da Thitu senza occupare stabilmente l’isolotto. Le operazioni di entrambi i Paesi sembrano più dimostrative che effettivamente destinate a modificare lo status quo, ma il rischio di un’escalation resta alto.
La comunità internazionale segue con crescente preoccupazione la crisi. Gli Stati Uniti hanno espresso solidarietà alle Filippine e invitato la Cina ad agire con moderazione. Manila ha chiesto formalmente a Pechino di non aumentare la tensione e di rispettare il diritto internazionale, mentre la Cina ha ribadito che continuerà a “proteggere i propri diritti” nel Mar Cinese Meridionale.
Il rischio di incidenti è concreto: negli ultimi mesi si sono già verificati scontri tra navi militari e civili delle due nazioni, con danni materiali e accuse reciproche di provocazione. Sandy Cay, per quanto minuscolo, rischia così di diventare il casus belli di una crisi più ampia, in un’area cruciale per i traffici marittimi mondiali e la sicurezza regionale.