C'è una notizia che dovrebbe farci drizzare le antenne più di qualsiasi polemica politica degna di un talk show: l'Italia è scesa al 46° posto nel mondo per la libertà di stampa. Era in "zona abbastanza buona", ora è considerata "problematicamente libera".
Lo dice Reporter senza Frontiere, non un gruppo di ultras o di bocciofili della domenica. E no, non è solo una questione di posizione di classifica: è la fotografia di un Paese dove fare informazione sta diventando un mestiere pericoloso, ostacolato, a tratti criminalizzato
Nel mirino della denuncia di RSF e delle opposizioni, intervenute alla conferenza stampa nella sede della Stampa Estera sul Media Freedom Act oggi 15 aprile 2025, ci sono leggi, riforme mancate, bavagli annunciati. L'emendamento Costa e il nuovo Ddl Sicurezza rischiano di ridurre drasticamente la possibilità di fare giornalismo d'inchiesta e raccontare ciò che il potere preferirebbe tenere nascosto.
#Mediafreedomact, la denuncia di #Rsf: "Le leggi del governo #Meloni sono un bavaglio per il lavoro dei giornalisti"#15aprile2025 pic.twitter.com/UHRGC0kih5
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#Mediafreedomact, #Schlein suona la carica: "Dico a #Meloni che la festa è finita, non possono pagare gli italiani"#15aprile2025 pic.twitter.com/618AT8ufcZ
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Un esempio? L'articolo 14 delle nuove norme prevede fino a due anni di carcere per chi diffonde atti "riservati". Tradotto: se un giornalista pubblica documenti che dimostrano un abuso, potrebbe finire sotto processo. Libertà di stampa? Forse. Ma solo se sei disposto a rischiare la galera.
Per questo la società civile si sta muovendo. Giornalisti, associazioni, studenti, politici di opposizione: tutti si sono uniti nel rilanciare la petizione promossa da Articolo 21, MoveOn, Rete #NoBavaglio, CGIL, Libera, Legambiente, ANPI e tanti altri. L'obiettivo? Fermare questa deriva autoritaria e chiedere un vero rilancio della libertà d'informazione, partendo da una seria applicazione del Media Freedom Act, già approvato in Europa ma praticamente ignorato in Italia.
#Conte: "Una riforma della #Rai è necessaria, mentre su #Paragon il governo non dice nulla"#15aprile2025 pic.twitter.com/4Tjn4fdyOB
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#Bonelli: "La libertà d'informazione è importante, le norme di #Meloni sono deleterie per i giornalisti"#15aprile2025 pic.twitter.com/vt5brktEjH
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Una delle richieste più urgenti riguarda la Rai. Dopo la "riforma Renzi" del 2015, il servizio pubblico è sempre più succube della maggioranza politica di turno. Oggi si parla apertamente di "TeleMeloni", con un'informazione pubblica che ha perso indipendenza editoriale e credibilità.
Programmi come Report vengono spostati in orari impossibili, la commissione di Vigilanza Rai è paralizzata, il rinnovo del CdA rischia di replicare gli stessi schemi di spartizione. Tutto questo mentre in Parlamento giacciono proposte di riforma che nessuno legge.
Come ha denunciato il presidente del Movimento 5Stelle Giuseppe Conte:
E Angelo Bonelli di AVS sottolinea:
Intanto il giornalismo d'inchiesta è sotto attacco. Giornalisti come Lirio Abbate, Marco Damilano, Riccardo Iacona e Sigfrido Ranucci sono costantemente esposti a minacce, isolamento, querele temerarie. E c'è anche il misterioso "caso Paragon": un software di sorveglianza usato, secondo alcuni, per spiare il direttore Fanpage, Francesco Cancellato.
#Magi: "Impugneremo il regolamento della Commissione vigilanza #Rai, non possiamo rischiare una deriva come in #Ungheria" #15aprile2025 pic.twitter.com/vOHiSvTnH1
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Nessuna risposta dello Stato nel frattempo. Nessuna chiarezza. E intanto il silenzio si fa assordante. La mobilitazione è culminata oggi in un incontro dedicato alla memoria di Riccardo Laganà, ex consigliere d'amministrazione della Rai e voce libera scomparsa un anno fa. Hanno partecipato esponenti di spicco del giornalismo italiano e dell'opposizione: Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e il direttore di Reporters sans Frontières, Thibaut Bruttin.
Con loro una lunga lista di adesioni: da Serena Bortone a Sigfrido Ranucci, da Riccardo Magi a Luigi de Magistris, passando per studenti, attivisti e sindacati. Una rete ampia e trasversale che chiede al Parlamento un passo indietro e all'Europa un intervento immediato.
Perché sì, siamo a un bivio. O si difende l'informazione come bene comune e pilastro democratico, o si accetta un modello in cui chi critica il potere diventa un criminale. Il rischio? Una democrazia che diventa spettacolo a reti unificate. E se anche le notizie finiscono con il dover passare dal filtro di chi governa, allora non è informazione. È propaganda.
"Quando l'informazione è libera, anche la democrazia respira", come amava ricordare Laganà. E proprio qui sta il punto: per poter tornare a respirare servono voci libere, tutele concrete, riforme vere. E serve anche che chi legge - cioè noi - alzi la voce.
Quante altre posizioni siamo disposti a perdere prima di reagire?
L’Italia scende al 46° posto per libertà di stampa - Secondo Reporter Senza Frontiere, il nostro Paese non è più “abbastanza libero” ma “problematicamente libero”. Le cause principali sono leggi e riforme che ostacolano il giornalismo, come l’articolo 14 del nuovo Ddl Sicurezza, che minaccia fino a 2 anni di carcere per la diffusione di atti riservati.
Mobilitazione civile e politica contro la deriva autoritaria - Giornalisti, opposizioni e associazioni si uniscono per difendere la libertà d’informazione e rilanciare l’applicazione concreta del Media Freedom Act. Viene denunciata anche la politicizzazione della Rai e la repressione del giornalismo d’inchiesta.
Omaggio a Riccardo Laganà e richiesta di un’azione concreta - La mobilitazione culminerà in un evento in ricordo di Laganà, simbolo di un servizio pubblico indipendente. Parteciperanno nomi di rilievo del giornalismo e della politica per chiedere riforme, protezione dei giornalisti e trasparenza da parte delle istituzioni.