O di qua, o di là. O con Nordio o contro Nordio. O con il Governo Meloni o con i magistrati. Ma risponde proprio al vero la separazione netta che si sta registrando attorno alla riforma della giustizia che via Arenula vorrebbe portare a casa in via definitiva entro l'estate?
In realtà, a ben vedere, delle sorprese non mancano. Non si confrontano due blocchi granitici, nemmeno sul fronte dei magistrati.
La scorsa settimana, il procuratore di Napoli Nicola Gratteri, ospite del salotto amico di Lilli Gruber a Otto e mezzo su La7, ha detto che se la riforma Nordio ha avuto un merito è stato quello di compattare tutte le toghe. Ma, a notare almeno due testimonial d'eccezione della separazione delle carriere, non si direbbe: l'uomo simbolo della lotta alla mafia in Italia, Giovanni Falcone, e l'uomo simbolo della trasparenza nella pubblica amministrazione e nel finanziamento della politica, Antonio Di Pietro, sono entrambi schierati a favore.
Giovanni Falcone, il magistrato ucciso dalla mafia il 23 maggio 1992 con l'attentato di Capaci, in varie occasioni ebbe modo di spiegare quanto fosse importante una riforma della magistratura. Dopo l'entrata in vigore del codice Vassalli, Falcone disse che, secondo lui, "non si trattava di un salto nel buio", come i conservatori dell'epoca temevano. In primis, proprio se si fosse fatta anche la separazione delle carriere. Cosa che, tra l'altro, lo stesso Vassalli immaginò automatica nel momento in cui il suo Codice fu approvato.
E quindi: per Falcone, c'era da augurarsi un cambiamento radicale ma logico di tutte le regole anziché una riforma, come si è trascinata in tutti questi anni, di fatto zoppa. Il Giornale, ultimamente, ha raccolto la voce la sua voce proprio nel tentativo di spingere la riforma in essere di Carlo Nordio
Falcone si augurava un salto di qualità, con il pm "che non avrà più alcun potere giurisdizionale, ad eccezione del potere di fermo"
Evidentemente, poi, il magistrato di Palermo che cominciò a smantellare Cosa Nostra ci aveva visto giusto quando poi andava ad aggiungere:
Per Falcone era una contraddizione in termini la definizione di pubblico ministero come "parte imparziale"
era il suo ragionamento. Che, in effetti, non fa una piega.
Ma non solo un Giovanni Falcone d'antan. Schierandosi a favore della riforma Nordio, non ha esitato a scendere in campo anche Antonio Di Pietro. Per l'ex pm di Mani Pulite, il frontman della rivoluzione giudiziaria che ha portato l'Italia dalla Prima alla Seconda Repubblica con la caduta dei grandi partiti di massa, la separazione delle carriere è "sacrosanta". E anche l'ultimo caso Almasri sarebbe da iscrivere a un braccio di ferro tra politica e magistratura perché, secondo lui, "l'atto del procuratore Lo Voi non era affatto dovuto: è frutto comunque di una valutazione".
E insomma: Giorgia Meloni di motivi per un sospiro di sollievo ne ha. Tanto più che Di Pietro, dopo il primo invito a scendere in politica che gli fece Berlusconi (il Cavaliere lo voleva ministro dell'Interno per il suo primo esecutivo), è stato per due volte ministro con Romano Prodi.
Ma non solo: Di Pietro magistrato, se oggi si schiera anche contro la protesta delle toghe, ai suoi tempi, dimostrò di non essere tipo da tirarsi indietro in una polemica con il governo: quando il ministro della giustizia Alfredo Biondi presentò il decreto che favoriva i domicialiari per gli indagati anziché il carcere, petto in fuori, fu lui a leggere il comunicato del Pool Mani Pulite che minacciava di lasciare:
Berlusconi decise per la marcia indietro. E chissà se il Di Pietro di oggi si è pentito anche di quello.