Giulio Regeni non era un giornalista: era un ricercatore dell'Università di Cambridge che, all'inizio del 2016, si trovava in Egitto per uno studio sui sindacati indipendenti. Giulio Regeni, però, aveva un interesse (anche) per il giornalismo: prima del 25 gennaio, giorno in cui fu rapito per poi essere torturato e ucciso dal regime di al-Sisi, ha cercato di far pubblicare sul Manifesto almeno un suo reportage dal Cairo. A svelarlo è stata la mamma di Giulio, Paola, nel corso della deposizione dello scorso 21 gennaio resa nell'ambito del processo che tenta di far luce sull'assassinio.
Fatto sta che quella di Paola Regeni non è stata affatto una semplice nota di colore: la mamma di Giulio, infatti, ha svelato come quello del figlio possa essere considerato un nuovo caso Siani, il giornalista ucciso dalla camorra a Napoli nel 1985 a 26 anni ed esaltato solamente post mortem dalla testata per cui scriveva, Il Mattino: in vita, lavorava da abusivo, senza un regolare contratto.
Il motivo l'ha raccontato Dimitri Buffa, giornalista dell'Opinione, grazie alla registrazione dell'udienza fatta da Radio Radicale.
In pratica, stando a quanto raccontato dalla mamma, Giulio Regeni, da vivo fu scartato dal Manifesto (e sin qui, nulla quaestio: rientra nelle scelte di un giornale accettare o meno una collaborazione o solo pubblicare un pezzo). Ma da morto, quando era diventato famosissimo in quanto al centro di un caso internazionale, è stato cooptato dalla redazione del quotidiano che si definisce comunista nonostante l'invito della famiglia a non pubblicare più alcun suo articolo: a quel punto, avrebbe causato solo ulteriori problemi. Come, poi, ha raccontato la mamma, in effetti è stato.
Paola Regeni ha raccontato che Giulio ha tentato di far pubblicare almeno un suo reportage al Manifesto sul mondo del lavoro egiziano, ma senza riuscirci. Una volta, il suo amico, nonché già collaboratore del giornale Francesco De Lellis, propose una corrispondenza dall'Egitto a doppia firma. Ma dalla redazione fecero sapere che lo avrebbero pubblicato solo col nome di quest'ultimo.
Fatto sta che la firma di Giulio comparve sul giornale fondato nel 1969 da Rossana Rossanda e Lucio Magri quando, da morto, era già diventato un caso internazionale.
La mamma ha addirittura fatto mettere a verbale che in uno dei talk show televisivi andati in onda subito dopo la notizia della morte di Giulio, un giornalista del Manifesto parlò di lui proprio come se fosse collaboratore riconosciuto del giornale.
Grazie a Radio Radicale, abbiamo la deposizione della mamma di Giulio Regeni: dopo un'ora e 35 minuti, l'udienza è continuata con l'invito della parte civile di raccontare qualcosa sulla figura di Giulio: ricercatore, studioso, ma "non-giornalista". Eppure Paola Regeni è stata costretta a ricordare:
Paola Regeni ha poi svelato:
E invece, Giulio lo fece in occasione delle ultime vacanze natalizie che trascorse a casa: il 20 dicembre, Paola Regeni ha raccontato che "era molto agitato":
Lo scenario cambiò radicalmente solo quando si diffuse la notizia della morte di Giulio:
L'articolo venne pubblicato e Giulio venne fatto credere un giornalista del Manifesto.
ha sottolineato la mamma.
Ma perché il caso Regeni-Manifesto ricorda quello di Siani-Mattino? Perché anche nel caso del cronista del Mattino anticamorra, il suo lavoro fu rivalutato post mortem. Anche se, a dirla tutta, appena saputo del suo barbaro omicidio, il suo giornale ebbe una certa difficoltà a dare il giusto peso alla notizia. E solamente in seguito ammise che lavorava in maniera irregolare.
Sta di fatto che sia per Siani che per Regeni non sono mancate le strumentalizzazioni politiche. Sia da parte di chi ha voluto attestarsi che da parte di chi ha tentato di denigrare il loro lavoro, a seconda della propria convenienza. Eppure, come ha detto in udienza Paola Regeni:
Il caso Regeni ha chiamato in causa i massimi livelli istituzionali e politici. Ed è notizia degli ultimi giorni che continuerà a farlo: i genitori, domenica sera da Fazio, hanno annunciato di aver citato lo stesso al-Sisi come teste.