È entrato in vigore il 19 gennaio l'accordo di cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi tra Israele e Hamas. Dopo 15 mesi di combattimenti che hanno devastato gran parte della Striscia di Gaza, lasciando la maggior parte della popolazione sfollata e causando decine di migliaia di vittime, le parti hanno raggiunto un’intesa articolata in tre fasi, grazie a intensi sforzi diplomatici dei mediatori.
Nel primo giorno della tregua, è stato effettuato il primo scambio di ostaggi: tre donne israeliane prese in ostaggio da Hamas e 90 palestinesi detenuti in Israele sono stati liberati. Contemporaneamente, ha avuto inizio un maggiore afflusso di aiuti umanitari verso l'enclave, un primo passo verso l'alleviamento della crisi umanitaria che ha colpito i civili della regione.
Il 19 gennaio segna il primo giorno di cessate il fuoco a Gaza. Dopo una lunga serie di negoziati, i mediatori di Israele e Hamas hanno trovato un’intesa e il 16 gennaio hanno ufficialmente siglato l’accordo finale.
L'inizio della tregua, previsto per le 08:30 ora locale, è stato posticipato perché Hamas non era riuscito a fornire i nomi dei tre ostaggi da liberare. Dopo alcune ore di ritardo, una volta comunicati i nominativi, il cessate il fuoco è finalmente entrato in vigore.
Il rilascio di Romi Gonen, Doron Steinbrecher ed Emily Damari ha segnato il primo scambio, simbolo di un processo che proseguirà con ulteriori liberazioni reciproche. In cambio, Israele ha rilasciato 90 palestinesi detenuti.
Secondo il ministro della Salute dell'enclave, oltre 46.900 persone hanno perso la vita nei 15 mesi di combattimenti. Circa il 90 per cento dei 2,3 milioni di palestinesi residenti nella Striscia di Gaza è stato sfollato, molti dei quali più volte.
Con l'inizio del cessate il fuoco, i civili hanno cominciato a tornare nelle loro abitazioni. Durante la prima fase dell'accordo, l’esercito israeliano dovrebbe ritirarsi dalle aree densamente popolate. Nel frattempo, l’IDF ha avvertito la popolazione di non avvicinarsi al corridoio che divide il nord e il sud del territorio.
Nonostante questo primo passo verso la normalità, il ritorno alla vita quotidiana sarà lungo e difficile. Il nord della Striscia ha subito attacchi devastanti che hanno portato a una quasi totale distruzione.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), il 92 per cento delle abitazioni di Gaza è stato danneggiato o distrutto. La crisi umanitaria continuerà a rappresentare una sfida immensa, con molti sfollati costretti a rimanere nei rifugi per mancanza di alternative.
Un aumento degli aiuti sarà cruciale per affrontare questa emergenza. Nel primo giorno di tregua, almeno 630 camion sono entrati nell’enclave, trasportando beni di prima necessità e rifornimenti umanitari.
Con l’entrata in vigore dell’accordo di cessate il fuoco, alcuni ministri dell’ultradestra israeliana hanno rassegnato le dimissioni, segnando un momento di forte tensione politica all’interno del governo guidato da Benjamin Netanyahu. Tra i dimissionari ci sono Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, Amichai Eliyahu, ministro del Patrimonio, e Yitzhak Wasserlauf, ministro per lo Sviluppo della Periferia, del Negev e della Galilea.
Le divisioni all’interno dell’esecutivo sulle modalità di gestione del conflitto e sull’accordo di tregua erano note da tempo, e le dimissioni di figure di spicco dell’estrema destra erano previste. Questa mossa, sebbene non abbia ancora fatto crollare il governo, pone Netanyahu in una posizione sempre più vulnerabile.
Un ruolo cruciale potrebbe essere giocato da Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze e uno dei principali esponenti dell’ultradestra. Smotrich ha recentemente dichiarato di voler far cadere il governo se l’IDF non assumerà il controllo totale della Striscia di Gaza. La sua posizione potrebbe aggravare l’instabilità politica in un momento di delicati equilibri per Israele.