Dal carcere in cui è recluso per l’omicidio dell’ex amante Vanessa Ballan, avvenuto lo scorso 19 dicembre a Riese Pio X, Bujar Fandaj ha voluto raccontare in una memoria la sua versione dei fatti, negando di aver premeditato il delitto. A renderlo noto è il quotidiano Treviso Today, secondo cui il pm Michele Permunian avrebbe ora disposto degli accertamenti per verificare se le sue parole corrispondano o meno al vero.

Dal carcere Bujar Fandag nega di aver premeditato l’omicidio dell’ex amante Vanessa Ballan

Nella memoria scritta, fatta pervenire al pm negli scorsi giorni, Bujar Fandaj – che ha già ammesso di aver ucciso l’ex amante – avrebbe ripercorso nel dettaglio la storia con Vanessa Ballan, negando con fermezza di aver premeditato il delitto.

Stando alla sua versione dei fatti – totalmente opposta a quella ricostruita finora dalla Procura -, si sarebbe introdotto furtivamente nell’abitazione in cui la 26enne viveva insieme al compagno Nicola Scapinello e al figlio di quattro anni, rompendo il vetro della portafinestra a martellate, perché sapeva che lei non gli avrebbe mai aperto e voleva arrivare a un “chiarimento” e non per coglierla di sorpresa.

Poi tra loro sarebbe successo qualcosa: un litigio che avrebbe portato l’artigiano di 41 anni a picchiarla e a colpirla per ben sette volte con il coltello che aveva portato con sé. L’ipotesi accusatoria è che invece sapesse già di voler ucciderla e che non abbia fatto altro che approfittare di un momento in cui fosse sola in casa per aggredirla.

Il motivo? Forse era venuto a conoscenza del fatto che la donna fosse incinta e che avesse definitivamente messo da parte la loro storia. Si erano frequentati per oltre un anno dopo essersi conosciuti tra le corsie del supermercato per cui Vanessa lavorava come commessa; poi lei lo aveva lasciato e lui aveva iniziato a perseguitarla, minacciandole di rivelare tutto al compagno.

La denuncia per stalking dopo il video inviato dal 41enne al compagno

Ad ottobre l’aveva fatto, inviando a Scapinello un video che li ritraeva in atteggiamenti intimi per esplicitare la natura del loro rapporto. L’uomo aveva deciso di perdonare Vanessa e, venuto a conoscenza dei comportamenti persecutori che l’ex amante aveva nei suoi confronti, l’aveva accompagnata dai carabinieri a sporgere denuncia, sperando che fosse sottoposto a un divieto di avvicinamento.

Non era successo, ma Fandaj sembrava essersi calmato. A dicembre l’omicidio. In mattinata il 41enne aveva scavalcato la recinzione dell’abitazione e si era intrufolato in casa della donna, togliendole la vita. A dare l’allarme, dopo essere rientrato dal lavoro, era stato il compagno. A quel punto il 41enne si era già allontanato, cambiandosi i vestiti sporchi di sangue e recandosi al bar.

Più tardi con l’aiuto di un telefono senza sim si era messo in contatto con le autorità, ammettendo di aver ucciso la 26enne senza però spiegare dove si trovasse. Il test di paternità eseguito nel corso dell’autopsia sul corpo di Vanessa ha escluso che il feto che portava in grembo fosse suo: il compagno della vittima lo aveva detto subito, specificando che con la donna lo avevano voluto e cercato. Gli inquirenti avevano però deciso di fare degli accertamenti.

In questi mesi ne sono stati fatti tanti. Mancano quelli sui telefoni cellulari, che potrebbero fare luce sui messaggi e le chiamate che vittima e carnefice si erano scambiati, alleggerendo (ma è solo un’ipotesi) la posizione di Fandaj, che attualmente è accusato di omicidio volontario pluriaggravato e detenuto nel carcere di Treviso, a pochi chilometri dal luogo in cui Vanessa è morta.