Sessantasei suicidi da inizio anno nelle carceri italiane: è questo il drammatico bilancio che, sul finire del 2023, racconta di una profondo disagio che emerge nelle realtà di detenzione del nostro Paese.

Solo negli ultimi giorni, tre persone hanno deciso di levarsi la vita nella Casa di reclusione di Parma e nelle Case circondariali di Milano San Vittore e Verona – Montorio, già segnata in questo mese da altri due suicidi.

Per stimolare una riflessione sul tema dell’emergenza carceri – oramai cronica da decenni – la redazione di TAG24 ha raggiunto l’avvocato Francesco Petrelli, presidente dell’UCPI, Unione Camere Penali Italiane, che in queste ore ha lanciato un appello affinché siano contrastate tutte le iniziative che, in violazione dei principi costituzionali, tendono a sostituire «le finalità rieducative della pena con facili strumenti di tipo repressivo, securitario e contenitivo».

Suicidi nelle carceri italiane, Petrelli (UCPI): “Nei nostri Istituti spesso condizioni inumane e degradanti”

Presidente Petrelli, anche l’UCPI denuncia l’«atroce conteggio» dei suicidi avvenuti nelle carceri italiane quest’anno. Cosa non funziona nel nostro sistema detentivo?

«Come Unione Camere Penali Italiane abbiamo rilasciato un comunicato che denuncia tre gravi criticità presenti nel nostro sistema.

La prima è relativa alla condizione inumana e degradante in cui versano troppi istituti carcerari in Italia. Come sappiamo, la maggior parte delle carceri sono sovraffollate e stanno tornando a livelli di presenze intollerabili, già oggetto di censura con la famosa sentenza Torreggiani del 2013.

Il numero dei suicidi che avvengono nelle carceri del nostro Paese è impressionante e non è che un segnale, purtroppo, dell’inumanità del sistema.

Noi dobbiamo sempre considerare che ogni detenuto è affidato nelle mani dello Stato che se ne assume completamente la responsabilità. Non è possibile che tutte queste vite, siano di giovani o di anziani, decidano di sopprimersi perché trovano intollerabile la condizione nel quale sono costrette a vivere.

Il modo in cui vivono i detenuti oggi devono essere oggetto di fortissima denuncia perché, come si dice, le carceri di un Paese sono lo specchio del livello di civiltà dello stesso».

Suicidi nelle carceri italiane, Petrelli (UCPI): “Se le strutture giurisdizionali non funzionano, gli effetti si riversano sui detenuti”

«Il secondo aspetto sul quale abbiamo voluto richiamare l’attenzione riguarda la condizione delle strutture giurisdizionali che sono collegate direttamente con il carcere, come i Tribunali di sorveglianza e gli Uffici distrettuali di esecuzione esterna.

Se questi uffici amministrativi non funzionano per carenze di organico e/o risorse e i detenuti non riescono più a ottenere i diritti che spettano loro, è chiaro che si produce una pressione interna al carcere che genera frustrazione e, nei casi più deleteri, anche effetti tragici come la soppressione della vita.

Pensiamo, ad esempio, ai disagi psichiatrici o a quelli dovuti alle tossicodipendenze. Noi sappiamo che circa il 30% dei detenuti sono tossicodipendenti e necessiterebbero di percorsi diversi, caratterizzati non da repressione e afflizione, ma da cure.

Non mi pare tuttavia che il Governo si stia occupando di questi problemi. A questo proposito, peraltro, vale la pena ricordare il terzo aspetto che UCPI ha denunciato».

Ddl sicurezza, Petrelli (UCPI): “Misure che determineranno ulteriori pressioni sulle carceri. Il Governo inverta rotta”

Fa riferimento al Ddl sicurezza recentemente approvato dal Governo?

«Esatto: il pacchetto sicurezza approvato dal Governo si occupa, in alcuni passaggi, anche della questione carceraria. Il problema è che questo intervento è fatto nel modo più distante da quelli che dovrebbero essere i corretti parametri costituzionali che mirano alla finalità rieducativa della pena.

In questo ddl si applicano al carcere criteri di super criminalizzazione anche per comportamenti che normalmente non sono ricondotti al diritto penale, come quelli di mera resistenza passiva.

Molti reati, poi, vengono dichiarati ostativi e quindi espiabili solo in carcere. In altri casi si torna a ipotizzare la cautela – e quindi il rimedio carcerario – per alcune fattispecie di reato, come quelle ad esempio per il piccolo spaccio.

Questo tipo di misure determineranno – e già determinano oggi – un vistoso aumento della popolazione carceraria, con conseguente esasperazione di tutti i problemi cui facevo riferimento prima.

Per questo chiediamo al Governo di invertire rotta sul problema carcere e di ripensare le norme più afflittive del pacchetto sicurezza. Oltretutto, chiediamo sia affidata agli uffici qualche risorsa in più, altrimenti si continuerà a ingannare l’opinione pubblica facendo credere che più carcere significa più sicurezza.

La verità è infatti un’altra: le statistiche ci dicono che chi in carcere trova un lavoro e passa attraverso le misure alternative nel 70% dei casi non torna a delinquere. Quando il carcere si presenta come un’esperienza di pura afflizione, al contrario, il detenuto ha più probabilità di essere recidivo. Ecco perché, in definitiva, meno carcere significa più sicurezza».

Petrelli (UCPI): “Tutti i Governi hanno usato le carceri come strumenti di consenso elettorale”

Presidente Petrelli, l’Unione Camere Penali Italiane ha denunciato l’indifferenza dei governi che hanno utilizzato le carceri «come improbabile emblema della sicurezza collettiva o vantandone comunque la salvifica funzione di discarica sociale». Ci spiega meglio?

«Le ipotesi sono due: o il carcere viene immaginato come una panacea per cui la detenzione è in grado di risolvere ogni problema di sicurezza, oppure vi è l’idea per la quale gli Istituti siano delle sorta di discariche nel quale ammassare tutti gli individui che hanno posto in essere qualsiasi tipo di devianza. Non si immagina dunque di poter recuperare i detenuti, ma solo di relegarli in spazi che facciano sentire la collettività al sicuro.

Queste due terribili visioni, tuttavia, non rispondono alla visione della nostra Costituzione, la quale all’articolo 27 prevede che le pene abbiano fini rieducativi e non scopi puramente afflittivi.

Il problema è che la questione carceraria è spesso affidata a due diversi generi politici, uno “buonista” e uno “rigorista”. Quello che occorrerebbe, tuttavia, è ricollocare al centro dei ragionamenti sul carcere un’idea di utilità per la collettività che non usi gli Istituti detentivi come elementi simbolici.

Tutti i Governi passati – anche quelli di sinistra – hanno fatto l’errore di utilizzare il carcere come strumento di consenso elettorale. Il ministro Orlando aveva ad esempio messo in piedi in l’ottima riforma elaborata dalla commissione Giostra. Peccato che, per questioni di confronto elettorale, la riforma sia stata riposta nel cassetto».

Sovraffollamento carcerario, Petrelli (UCPI): “Alla società dobbiamo spiegare che meno carcere significa più sicurezza”

Presidente Petrelli, facendo riferimento alle disfunzioni dei Tribunali di Sorveglianza citate in precedenza, le chiedo: per facilitare la concessione di misure alternative e alleggerire la pressione sulle carceri occorre potenziare l’organico dei Tribunali o intervenire sulla cultura giudiziaria?

«Entrambe le cose. Innanzitutto occorre ripensare tutte quelle norme che rendono obbligatorio il passaggio per il carcere, sia sotto il profilo dell’applicazione delle misure cautelari sia sotto il profilo delle cosiddette ostatività che impediscono di fatto di ottenere l’accesso a misure alternative.

L’altra questione è indubbiamente quella di un rafforzamento delle strutture relative ai Tribunali di sorveglianza e a tutti gli altri apparati.

Un contributo formidabile, infine, potrebbe arrivare da un cambiamento nell’atteggiamento dell‘opinione pubblica di fronte al fenomeno carcerario: basta con questa “truffa delle etichette” che fa credere che più carcere significhi più sicurezza: come detto, la verità è esattamente il contrario».