Se i meccanismi Proof-of-Work e Proof-of-Stake sono largamente maggioritari in ambito crypto, non sono però i soli ad essere utilizzati per risolvere il problema del consenso. Entrambi, infatti, hanno difetti in termini di decentralizzazione, ovvero un aspetto che riveste un ruolo cruciale dal punto di vista ideologico.

Per cercare di ovviare alle loro lacune in tal senso sono quindi stati progettati altri algoritmi i quali cercano di conferire un maggior tasso di democrazia ai vari progetti. Il Proof-of-Authority è uno dei più efficienti in assoluto. Andiamo quindi a conoscerlo più da vicino per cercare di comprenderne gli effettivi pregi e, naturalmente, i difetti.

Proof-of-Authority: cos’è e cosa si propone

Il meccanismo di consenso Proof-of-Authority è un algoritmo il quale si propone di superare la scarsa decentralizzazione di Proof-of-Work e Proof-of-Stake. Com’è noto, nel primo caso i miners sono chiamati a svolgere complesse operazioni di calcolo che comportano l’impiego di macchinari estremamente costosi, una spesa alla portata di poche grandi aziende. Nel secondo, invece, occorre mettere in stake (deposito) un determinato numero di token, che in alcuni casi si rivelano una barriera d’ingresso proibitiva.

Nel Proof-of-Authority non è necessaria attività di calcolo o stake. I validatori, infatti, sono scelti sulla base della loro reputazione. Ne deriva di conseguenza una votazione la quale conferisce aspetti di democrazia sostanziale alla blockchain interessata. Inoltre, il loro numero è abbastanza limitato, permettendo alla stessa di restare altamente scalabile, risolvendo in tal modo un altro problema del cosiddetto trilemma.

I limiti del meccanismo Proof-of-Authority

Il meccanismo è stato varato nel 2017 da Gavin Wood, noto nel settore dell’innovazione finanziaria per aver partecipato alla fondazione di Ethereum. Se offre un sistema scalabile, però, la sua democrazia non risolve il problema della reale decentralizzazione. Come abbiamo ricordato, infatti, i validatori non sono molti.

Per diventare uno di essi, inoltre, il candidato deve mettere in campo una strategia tesa a farsi conoscere e avvalorare la propria autorità. Per farlo è necessario investire denaro, con ovvi riflessi sulla reale democraticità del sistema. Chi ha maggiori risorse da investire ha più probabilità di raccogliere il consenso necessario per imporsi su candidati meno facoltosi.

C’è poi un altro limite di non poco conto. Per poter dimostrare la propria affidabilità, il candidato deve dimostrare la propria identità reale. Ne discende a questo punto un nuovo problema: chi assicura che farà realmente ciò che dice? Se, come è del tutto logico, a spingerlo a proporsi è la speranza di trarre profitto dal suo ruolo, potrebbe essere permeabile a tentativi di corruzione da parte di chi sia intenzionato a danneggiare una blockchain.

Infine, e questa è l’eccezione più forte che si può muovere al meccanismo PoA, se viene risolto il problema della democrazia, resta inevaso quello rappresentato dalla mancata decentralizzazione. I validatori in questo caso sono pochi e vanno contro una delle istanze ideologiche fondamentali su cui sono nate le criptovalute.

In conclusione

Il meccanismo di consenso Proof-of-Authority è una possibile alternativa ad alcuni difetti di quelli Proof-of-Work e Proof-of-Stake. La base del suo funzionamento fa leva sulla reputazione dei validatori e fornisce quindi un nuovo requisito di scelta all’interno di una blockchain.

Il principale vantaggio che offre con la sua adozione è la maggiore scalabilità rispetto alle reti impostate sui meccanismi concorrenti, in particolare quelli Proof-of-Stake. I validatori sono pochi e ne consegue un’elaborazione più veloce delle transazioni e una maggiore efficienza del sistema.

Proprio il conseguimento di queste caratteristiche, però, va a riflettersi sulla decentralizzazione, che resta scarsa. Ne consegue la scarsa diffusione tra le blockchain pubbliche, ove le comunità sono ideologicamente contrarie ad un sacrificio simile, rivelandosi di converso più adatto a quelle private, ove il problema della decentralizzazione non è avvertito, per ovvi motivi.