Meneghin, simbolo del Basket d’Italia in tutto il mondo,

è intervenuto a Radio Cusano Campus, l’emittente radiofonica dell’Università Niccolò Cusano

Ci ha parlato di Trieste, tornata in Serie A1, di Milano nuovamente Campione d’Italia: e di D’Antoni,

suo playmaker e capitano nell’Olimpia. Con il distinguo tra la persona e il coach

 

Abbiamo il piacere e l’onore di ascoltare il parere dell’uomo che simboleggia la Pallacanestro d’Italia nel mondo.

“Buongiorno a tutti!”.

Cominciamo col passo del gambero. Partiamo da dove tu hai finito la grande carriera di cestista. Trieste è tornata in Serie A. Le tue prime sensazioni…

“Sono assolutamente felice per loro: sono assolutamente felice per loro. Sono passati 14 anni, tantissimo tempo. E’ una società e una squadra costruite poco a poco, con una buona dirigenza, un ottimo staff tecnico, e i giocatori che l’anno scorso hanno mancato di un soffio la promozione. Quest’anno hanno coronato un po’ tutto il lavoro ritornando in Serie A. Hanno un pubblico straordinario, hanno un bellissimo palazzo e quindi hanno tutti i presupposti per fare bene, spero anche nei prossimi anni. Perché la Serie A è molto più difficile, competitiva, e dovranno stravolgere la formazione; dovranno inserire diversi stranieri, e lasciare a casa parte di quei giocatori che hanno fatto la storia, quest’anno. Dovranno stare attenti a come costruire la squadra però sono dirigenti bravi, un presidente assolutamente bravo. Non voglio insegnare ai pesci a nuotare: sapranno benissimo cosa fare”.

Tu tra l’altro vieni da una delle zone più belle d’Europa, che è la provincia di Belluno. Trieste è altrettanto una bella città. Diciamolo a chi non la conosce.

“E’ splendida. Invito tutti a andare a visitarla. Ha un mare splendido, la gente è cordialissima, si mangia bene, soprattutto si vive molto, molto bene. Da anni hanno rimesso a posto il centro che è diventato una piccola Praga, con queste bellissime case, tutte rimesse a posto. Veramente una bellissima atmosfera”.

MILANO – Veniamo a uno dei tuoi grandi amori. Milano è tornata, dopo due anni, sul tetto d’Italia. Come le hai vissute, queste partite, con Trento?

“Ho visto finali molto combattute. Prima di tutto bisogna dare atto a Trento che ha fato dei play-off straordinari: ha eliminato prima Avellino, poi Venezia che era campione in carica. E poi hanno affrontato Milano a testa alta, senza Flaccadori che è uno dei migliori giocatori di Trento. E portando Milano alla quinta partita combattutissima (la sesta è finita 96-71, n.d.r.). Due partite perse a Milano, una, proprio all’ultimo secondo, sarà quella che gli brucerà, purtroppo, per molti anni. Però Milano alla fine ha vinto perché è una squadra con una panchina più lunga, più solida, allenata benissimo. Alla fine della fiera Milano ha meritato.

Devo dire che Trento ha fatto un bellissimo regalo a Milano: “Pronti? Via!” ha eliminato Venezia e consentito all’Olimpia di essere la testa di serie e giocarsi le eventuali belle tutte in casa. Per quello dico che Trento ha sorpreso ancora una volta. Bisogna ricordare che è la seconda che Trento arriva due anni di fila in finale, l’anno scorso con Venezia ora con Milano. Quindi Buscaglia e tutta la società hanno fatto un grandissimo lavoro e devono proseguire su questa strada, con questi ritmi”.

Non puo essere un caso. E’ programmazione sana, bella e buona.

“Esatto. Infatti all’inizio dei play-off pensavo… Si vede che la programmazione degli allenamenti li ha portati ad arrivare in forma strepitosa proprio ai play-off. Quando sono iniziati pensavo uscissero contro Avellino invece – dice sorridendo di gusto – sono stato clamorosamente smentito sia con Avellino che con Venezia. E’ segno evidente che il coach ha programmato bene il lavoro: i giocatori sono arrivati in forma proprio nel momento finale. Alla fine forse gli è mancato qualcosa per la panchina corta, costringendo Coach Buscaglia a fare pochi cambi. Giocando ogni due giorni, è tosta, reggere i ritmi di Milano”.

Siamo in ottima compagnia, coi pronostici, visto quanto sta accadendo ai Mondiali di Calcio, tranquillo…

“No, no, io non ne faccio più, di pronostici – e sbotta nuovamente in una allegra risata – perché vengo smentito subito, sempre”.

LO SCUDETTO OK MA IN EUROPA… –

Il tuoi enormi sacrifici, il tuo coraggio, sono scolpiti nella memoria di chi ama la Pallacanestro. Faccio una domanda che guarda oltre la sommità della collina. Adesso Milano deve cominciare a imparare, dalla sua storia. Va bene il tricolore, ma può aprire, un passo alla volta, un sentiero che la faccia crescere fuori, dai confini nazionali, che tu ben conosci?

“Sì, è sicuramente un cammino molto difficile, è tutto in salita. Al di là del valore della squadra di quest’anno, gli anni passati si è visto in campo internazionale che si va a scontrare contro delle corazzate; corazzate economiche che poi influiscono anche sul mercato. Le due spagnole vale a dire Barcellona e Madrid, l’Olympiakos e il Panathinaikos, le due squadre turche, Mosca, hanno sicuramente una forza economica impressionante, e quando vanno sul mercato, la fanno da padrone”.

Una bella aristocrazia, diciamolo!

“E’ un’élite che è difficile, da smantellare. Ma abbiamo visto, quest’anno, lo Zalgiris pur non avendo dei budget stratosferici, sono riusciti a fare delle grandissime cose. Milano ha la capacità economica, ma anche manageriale, tecnica per poter costruire una squadra che possa essere competitiva, insomma, ma proprio a livello europeo. E aprire, come hanno detto il Signor Armani, o Prolli, o lo stesso Pianigiani, di cominciare un ciclo. Che non sia uno scudetto adesso, il prossimo tra due, tre anni. Penso che la voglia della società, gli investimenti, esigano questo, al di là di quello che dicono i tifosi. Però in campo europeo diventa sempre più difficile. Ma come ho detto prima riferendomi allo Zalgiris, perché non potrebbe farlo anche Milano? Un po’ di esperienza, di coraggio in più, magari ci si riesce”.

D’ANTONI IN VERSIONE COACH e IL MIKE PERSONA – A te non stupisce il fatto che il tuo ex Playmaker titolare, Mike D’Antoni, sia arrivato tra le prime tre-quattro, nell’NBA. Come l’hai vissuta, questa cosa, di vederlo arrivare a giocarsi alla settima partita, l’ingresso alle Finals?

“Sai, lui è un allenatore cui piace il gioco spettacolare; corri e tira, e lascia ampia libertà ai propri giocatori. Sicuramente giocatori come Harden che praticamente dettano legge, su qualsiasi campo, però non mi stupisce. Mi ha stupito molto di più quando l’ho visto anni fa in panchina a New York. Ma non stupito per il fatto che Mike non lo meritasse perché era stata una sorpresa, perché io me lo vedevo mio compagno di squadra qui, a Milano. E vederlo sulla panchina dei Knick sicuramente mi ha fatto un bellissimo effetto. Come ero felicissimo, per lui, perché si meritava e si merita tutto quello che sta raccogliendo”.

Di carattere com’è?

“Mike è una persona molto tranquilla, affabile, prima di tutto intelligente, pazzo per il Basket. Infatti io lo prendevo in giro perché quando giocavamo insieme, lui e Mc Adoo parlavano sempre di Pallacanestro, in pullman in macchina, eran sempre lì a parlare di schemi. E io dicevo: “Ragazzi, avete rotto le scatole, a parlare di Pallacanestro! Parlate di qualcos’altro”. Però, poi in effetti, si è visto, dove sono arrivati: Mike allenatore, Bob vice-allenatore per tanti anni. Si vede che la passione ti spinge ad arrivare a certi traguardi. Ma è una persona splendida, da invitare sempre a cena, perché è sempre sorridente, cordiale, simpatico. L’unica roba – Dino qui si fa guascone e scherzoso – è che racconta barzellette che non fanno ridere perché ha un altro senso dello humour”.

Detto che hai fatto dell’ironia una gran dote, fuori dal campo, parlando seriamente, ricordo un filmato stupendo di qualche anno fa di un elegante Bob Mc Adoo che ti premia, nel Tempio delle Celebrità. E quella è una immagine stupenda, fantastica.

“Sì, è un ricordo indimenticabile, come tutti quei giorni passati lì, perché la cosa che mi ha stupito è che ci fossero dei campioni straordinari che avevo visto solamente in televisione e mi hanno trattato come fossi uno di loro. Per cui la grande cordialità, affabilità, e magari pensavano: “Ma chi cacchio è, questo qui?!”. E questo mi ha fatto molto, molto piacere. Poi essere presentato da Bob una soddisfazione enorme”.

Ricordo il discorso di introduzione di Bob Mc Adoo, nei tuoi confronti: non solo di tanti minuti, ma tutti spessi e intensi, profondo!

“Infatti mi ha stupito, non conoscendo bene le procedure pensavo fosse una presentazione più breve, senza tanti fronzoli. Invece, poi, più andava avanti più mi stupiva. Anche perché – e qui scoppia a ridere – ha detto delle cose che dovevo dire io, nel mio discorso”.

Non vi eravate messi d’accordo…

“La gente diceva: Ma queste cose già le abbiam sentite!”.

Non so se io passi per banale, ma GRAZIE, DAVVERO!

“Grazie a voi!”.