La strage dell’Heysel? Una vendetta premeditata, attuata contro gli italiani

per gli accoltellamenti di Roma-Liverpool

 

Intervista a Maurizio Torrioli, nostro collega che fu testimone oculare della Strage dello Stadio Heysel di Bruxelles.

L’argomento non è dei più semplici. Maurizio Torrioli, padre del nostro collega Matteo, ha vissuto una bruttissima avventura, in occasione della finale della Coppa dei Campioni, in quel brutto 1985. Nessuno avrebbe ipotizzato quanto accaduto.

Eri partito come tanti appassionati per cercare di vivere una serata sportiva, indipendentemente dal risultato: quando abbiamo visto le immagini abbiamo capito la gravità dell’accaduto e ci ciò che stava accadendo. Tu sei genitore di un nostro collega, ma eri partito come semplice sportivo. Una gravità inaudito.

“Hai parlato di Matteo, che aveva 3 anni, quando sono stato a Bruxelles, e questa è una cosa che mi ha colpito molto, nel corso di questi 33 anni che sono passati. Sono molto restio, a parlare di quella serata, di quella esperienza perché ancora oggi mi rifiuto di vedere le immagini in quanto mi sono trovato coinvolto e ho riportato delle ferite. Mi sono trovato schiacciato non fortunatamente nella parte bassa della Curva Z, dove c’erano le reti, ma dalla parte del muro, che siccome era fatiscente, e crollò fu quella, la nostra salvezza perché quando il muro crollò fui catapultato dalla spinta degli altri sulla pista di atletica, e ho sbattuto la testa, ho avuto qualche escoriazione ma, tutto sommato, me la sono cavata bene. I ricordi sono questi, allucinanti, di una serata che doveva essere una festa e invece è stata una tragedia”.

Quante volte ci hai ripensato, tutti questi anni?

“Non sono quasi più andato allo stadio, in tutti questi anni. Non me la sono sentita, di andare a vedere le partite. Ho paura anche dei posti affollati, sono diventato claustrofobico. Ho anche risentito, da questo punto di vista. Di quella sera ho dei ricordi non molto nitidi nel senso che quando caddi vagavo per il campo come un fantasma, e mi sono ritrovato addirittura sotto, negli spogliatoi, dove stavano i calciatori, perché la partita stava per cominciare. E da solo vagavo per Bruxelles per cercare di chiamare casa. All’epoca non c’erano i telefonini e io cercavo un posto per avvisare i miei familiari. Sono riuscito a salire su un’ambulanza, poi dal posto di pronto soccorso chiamai, e tutti erano in apprensione, tranquillizzando mia moglie, papà, mamma. Anche se devo dire che Pizzul non drammatizzò molto la questione, fu molto bravo. La notizia dei 39 morti non fu data, nell’immediata; il conteggio delle vittime”.

Che arrivò durante la partita, effettivamente.

“Riuscii a chiamare, mi feci curare le ferite che avevo poi firmai e andai via. Ero scalzo, avevo perso le scarpe, la borsa con tutti i documenti. Andavo in giro per Bruxelles con tutti i vestiti strappati, e con i gendarmi che ci cacciavano via perché pensavano fossimo stati noi italiani, a causare tutta quella tragedia”.

Come hai fatto, a rientrare?

Non so come ho ritrovato i miei compagni, sul pullman che ci aveva portato allo stadio. Mi sono messo dentro all’automezzo e non ho visto nemmeno la partita: ho aspettato che finisse la partita, che rientrassero i miei compagni. In quattro eravamo rimasti feriti e gli altri cinque non avevano subìto danni. E da lì ci hanno riportato in aeroporto e siamo tornati a casa”.

Tu, sempre senza scarpe?

“Sì, senza scarpe, privo di documenti. Quando sono arrivato all’aeroporto davo l’immagine di un disperso, a Ciampino, fu una mattinata particolare. Con i familiari che arrivarono a prendermi; tutti, mia moglie, i miei genitori, quando mi videro rimasero impressionati dallo stato in cui versavo. Anche se avevo riportato a casa la pelle, che era già una grande cosa”.

Quale spiegazione ti sei dato, negli anni, cioè come è possibile che Polizia belga e UEFA abbiano sottovalutato il pericolo che si conosceva bene, degli hooligans?

Maurizio Torrioli precisa: “Poi ti dirò perché è successa quella carneficina. Partiamo dall’inizio. Quando siamo arrivati ci fecero scendere a Ostenda perché a Bruxelles arrivavano aerei da tutte le parti, perché arrivano tifosi da ogni dove, soprattutto gli juventini perché per gli inglesi era più semplice, attraversando la Manica. Ed erano più controllabili, da questo punto di vista. Noi avevamo prenotato con un’agenzia di viaggi, i nostri biglietti erano delle tribune. Poi ci comunicarono che avessero, all’arrivo, solo la disponibilità della Curva Z, che sono quelli dove andranno i tifosi neutrali, ci dissero. I belgi, sarebbero andati lì. Abbiamo detto “Va bene, visto che siamo qui cosa facciamo? Andiamo a vedere la partita poi riparleremo con le agenzie che hanno organizzato il viaggio”. Quando arrivammo lì ci accorgemmo che fosse una trappola, perché la curva Z perdeva pezzi, le strutture erano ammaccato, era inadatto. Noi italiani siamo stati perquisiti. Verso le 7 meno un quarto arrivarono gli hooligans, entrarono travolgendo tutto, senza controlli, ricordo nitidamente che parecchi di loro avevano i sacchi neri, quelli della spazzatura, erano pieni di birra. Una cosa vergognosa. Abbiamo cominciato a temere, perché da quella parte c’eravamo noi, con le famiglie, persone tranquille, che non avevano nessuna intenzione di fare la guerra agli hooligans. Verso le 7 e mezza, erano colmi di birra, ubriachi; hanno cominciato con le fionde a tirare biglie di ferro. Corpi contundenti che hanno causato le ferite ad alcuni. Poi hanno caricato perché erano abituati a fare la guerra negli stadi. Noi, da quella parte, anziché rispondere, non eravamo abituati allo scontro, indietreggiavamo, per scappare, verso la rete che delimitava il campo, alcuni; chi, lateralmente, come me, spinto verso il muro. Che sotto la spinta di tutti i tifosi venne giù, e dico pure fortunatamente, è crollato. Era talmente vecchio che non ha resistito alla spinta della gente. Sono caduto di sotto, da 3-4 metri sono caduto giù e mi sono salvato da quell’eccidio, in cui la gente è morta soffocata lì sotto, incastrata, perché quelli che spingevano avevano paura degli hooligans”.

Maurizio, a distanza di anni, credi, come tuo pensiero, che la partita dovesse essere per forza giocata, in quelle condizioni?

“Poi dirò una cosa. Quella partita, per me, non è mai esistita. Credo che la Juventus, per quanto mi riguarda, non ha mai vinto, quella coppa. Perché non si può vincere una cosa sportiva con quasi 40 morti. Io non me la sento. Non so se la società, se Boniperti, abbiano fatto bene o male. Non mi interessa. Io, da sportivo, da tifoso, per me, quella coppa non mi appartiene. Perché non si vince una coppa in quella maniera. La cosa che mi ha fatto male è che dovesse essere una giornata di festa, per tutti quanti!”.

Posso dirti che è stato il punto di non ritorno della decenza, nel mondo del calcio e che da lì c’è stato un lentissimo regredire dell’etica, dei comportamenti, dell’importanza della salute, dell’essere umano?

Torrioli: “Sì perché siamo andati sempre peggiorando. Il risultato sportivo, sinceramente, non aveva nessuna importanza. L’unica cosa che contava, e che purtroppo è rimasta nel tempo, è il dolore di quei familiari, di quei 39 angeli, che io chiamo così, che hanno dovuto patire la perdita di un caro, che era andato a vedere una partita. E che invece si è ritrovare a tornare in Italia dentro a una bara, in circostanze drammatiche”.

Il pensiero va inevitabilmente a un amico, un giovane radiocronista, che eri tu, Maurizio Torrioli, e al tuo delfino, al tuo successore, al collega Matteo, che è qui, di fianco a noi, in redazione, Radio Cusano Campus, e che lavora in altri settori…

“Fortunatamente”, dice, sorridendo.

In base a ciò che è successo all’Heysel, ti è mai venuta la tentazione, che sarebbe stata umana, di sconsigliarlo, di fare il radiocronista sportivo?

“Guarda, io non l’ho indirizzato, Matteo: ha fatto tutto da solo. E’ rimasto tifoso del Monterotondo poi fortunatamente negli ultimi anni fa cose diverse, che non riguardano il mondo del Calcio. Ne sono molto contento anche se a livello di Calcio dilettantistico, scrive di Calcio; ma non è che quella esperienza mi potesse suggerire di dirgli di non farle. Non me la sono sentita perché era pure bravo, e appassionato, già da quando era sedicenne”.

Maurizio Torrioli conclude con una decisa precisazione: “Voglio dire una cosa, che è passata sempre inosservata. La Strage di Bruxelles, che io chiamo così, era premeditata. Gli hooligans sono venuti lì per uccidere gli italiani. E lo dico con grande serenità, sono certo, di questo. Perché non attaccavano gli juventini ma la caccia era agli italiani. Dopo ho scoperto, in un video su YouTube, perché vollero vendicare gli accoltellamenti della finale Roma-Liverpool. Questa è la verità che io so, che nessuno dice, e contro la quale nessuno mi convincerà del contrario. Altrimenti non si spiega tutta quella ferocia nei confronti di gente che era andata lì non per fare la guerra. Avrei capito uno scontro tra ultrà, che sono abituati. Hanno attaccato le famiglie, in modo vigliacco. E’ stata una vendetta premeditata”.