Mariagiovanna Luini, autrice de “Il Grande Lucernario”, edito Mondadori,  è intervenuta a “Genetica Oggi”, trasmissione condotta da Andrea Lupoli su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano.

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Perché “Il Grande Lucernario”?

Sono stata per 16 anni l’assistente di Umberto Veronesi e il grande “Lucernario” è legato ad un lapsus che ebbe diversi anni fa una signora chiamandolo “lucernario”, anziché luminare. La cosa gli piacque moltissimo.

Entriamo nel dettaglio di questo volume che guarda all’approccio olistico, passaggio fondamentale della sua personale esperienza di medico e in comunione con Umberto Veronesi

Il mio esperimento di vita è restare medico, aprendo la mente a nuovi approcci definiti olistici, perché la scienza ancora non li ha approfonditi sufficientemente. Il libro racconta i miei anni di formazione e di lavoro per arrivare all’idea che un medico, oggi, possa incarnare pienamente ciò che ha studiato aprendosi però ad altre esperienze, purché queste non tradiscano la formazione e la solida base di chi ha studiato medicina.

Si tratta di un approccio nuovo che va a mirare a quelle parti della persona che non sono completamente fisiche. Il tempo, però è ciò che costruisce la relazione medico paziente e va recuperato.

C’è una giusta formazione nelle Università che guarda al rapporto tra cliente e paziente?

Si sta arrivando a questo e le scuole di medicina si stanno pian piano adeguando. C’è stato un lungo periodo in cui la medicina è andata verso un maggior tecnicismo e verso l’eccellenza. Questo è corretto, ma poi ci si è resi contro che in questo modo si rischiava di perdere una componente fondamentale della medicina, ovvero l’intuito.

Ogni esame di assoluta tecnologia e avanzamento deve sempre avere un motivo ed un momento. Una cosa da recuperare è la visita. E’ il compito del medico. Oggi abbiamo grandi strumenti tecnologici, ma questi sono un’aggiunta rispetto a ciò che noi medici possiamo fare visitando, osservando e addirittura annusando il paziente.

C’è un passaggio DEL LIBRO in cui lei scrive: “Il bisogno che mi porto dentro e che mi fa vagare tra scienza, super specializzazione, filosofie orientali, pratiche olistiche e meditazione è prendermi cura di qualcosa che potremmo definire anima, la mia prima di tutto”. E’ questa l’eredità che si porta dietro dal Prof. Veronesi?

E’ un’ eredità preziosa, perché da mio padre e dal Professor Veronesi ho imparato e capito che non siamo solo un corpo fisico. La salute non è qualcosa di meccanico. Chissà perché ci sono pazienti che sebbene siano “perfettamente guariti” continuano a stare male e non sentirsi in benessere. Il bisogno di curare gli altri è anche un bisogno di curare sé stessi. Come curo la mia anima se non porgo il massimo del mio amore ai pazienti?

Il medico deve confrontarsi con l’idea del divino?

Non è strettamente necessario perché si può dare all’altro la piena dignità di esistere in questa vita, pur non credendo in Dio. Non è rilevante ciò che pensa il medico, ma conta che ci si prenda cura dell’altro come se la vita di questo fosse l’assoluta priorità di quel momento.

Ci vorrà ancora molto tempo prima di vincere la sfida contro il cancro?

Prima di morire, Veronesi, disse di essere stato sconfitto perché sarebbe voluto morire dopo aver visto la sconfitta del cancro. La ricerca ancora sta andando avanti e c’è molto da fare perché per certi versi i tumori sono ancora un mistero. Ad ogni modo confido ancora nel fatto che ce la faremo.