Decreto Giannini. È una strana storia quella che accompagna il Decreto Ministeriale 987 del 12 dicembre 2016. Firmato in fretta e furia da una Ministra già sull’uscio del suo ufficio di Viale Trastevere, Stefania Giannini, viene differito solo un paio di settimane dopo dalla subentrante Valeria Fedeli. Se la storia sembra strana e poco chiara, evidenti sono le ripercussioni che ne derivano: il DM 987, denominato “Decreto autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio”, rischia di segnare la fine dell’università italiana senza nemmeno stabilirne le motivazioni, impoverendo di fatto il nostro Paese e tradendo gli obiettivi fissati da Horizon 2020.

Il decreto DM 987: cronaca di un disastro annunciato

Quanto disposto dall’ex Ministra Giannini obbliga le università, in base al numero degli iscritti e non, si badi bene, in base al numero dei frequentanti, ad incardinare centinaia di nuovi professori entro l’anno prossimo, per una spesa che può arrivare anche a 20 milioni di euro in più all’anno per ateneo. Questo significa che già da gennaio 2018 le università italiane, per adeguarsi a quanto richiesto dal decreto, saranno costrette ad inserire il numero chiuso anche in quelle facoltà in cui finora non era previsto, come dimostrato dal caso dei corsi di laurea umanistici alla Statale di Milano.

E’ pronto lo Stato a pagare il denaro necessario a sostenere le università o preferirà chiudere gli occhi e costringere gli studenti italiani ad andare all’estero?

Gli atenei, statali e non, hanno già denunciato mesi fa l’impossibilità di far fronte a costi esorbitanti per l’incardinamento di centinaia di professori basato esclusivamente sul numero delle iscrizioni, un conteggio fissato su parametri decisamente superati. All’epoca la Ministra Fedeli promise l’apertura di un tavolo tecnico per una riflessione più seria sulle reali necessità delle università italiane. Dopo quasi un anno nulla è mai stato discusso e quel decreto è ancora minacciosamente nei cassetti del MIUR, differito ma non cancellato.

Qualcuno ultimamente ha sostenuto a gran voce che gli scandali e la corruzione emersa nelle scorse settimane (la spartizione delle cattedre a Firenze e gli altri casi di cronaca che hanno interessato diverse accademie italiane) siano il risultato del blocco delle assunzioni, non di un sistema malato che mira soltanto a mantenere i propri privilegi, mala gestione perpetuata da decenni. Il decreto Giannini è forse figlio dello stesso approccio? Della necessità di salvaguardare una casta potente piuttosto che offrire un servizio di qualità agli studenti italiani?

Se il decreto andrà avanti così com’è stato previsto da Stefania Giannini gli atenei italiani non potranno più accettare nuovi studenti perché assolutamente impossibilitati ad affrontare le spese necessarie a pagare gli stipendi dei professori. Attenzione, maggiore esborso per gli atenei non per investimenti nella ricerca o nei servizi agli studenti, ma solo ed esclusivamente per gli stipendi dei professori.

Più catene e minore autonomia

Invece che dare autonomia alle università italiane e lasciare che sia il mercato a stabilire quali siano gli atenei migliori, si mettono legami, lacci e lacciuoli vari che non fanno che mortificare l’accademia. Si rende più forte un sistema che ha già dimostrato in più occasioni di non funzionare, rifiutando di premiare i migliori docenti ma solo quelli con le giuste conoscenze. Con il decreto Giannini non migliora la qualità della docenza ma solo il numero dei docenti, non si risolve il problema della corruzione, dello strapotere dei baroni e della spartizione delle cattedre: aumenta semplicemente il bottino da spartire.

Si dovrebbe puntare invece alla qualità, ad una didattica innovativa come quella già ampiamente utilizzata con successo all’estero e in qualche caso anche in Italia, a migliorare il livello dei servizi offerti agli studenti e delle strutture degli atenei italiani, per la maggior parte vetuste e antiquate.

Lasciare il decreto così com’è significa privare del diritto allo studio tutti gli studenti italiani: i parametri previsti per il nuovo incardinamento dei professori sono demenziali. Altro che numero chiuso, il rischio è la trasformazione del nostro in un sistema universitario destinato a pochissimi fortunati. Per sopravvivere senza i fondi necessari per pagare i professori gli atenei saranno costretti a impedire l’ingresso di nuovi studenti o ad aumentare in modo indiscriminato le tasse d’iscrizione, spingendo i ragazzi a rinunciare al percorso universitario. Una volta raggiunto il risultato di ridurre la popolazione studentesca poi, a tutti i nuovi professori assunti per decreto quale compito rimarrà se non aggirarsi per i corridoi abbandonati di atenei che hanno contribuito a svuotare?

Viene da chiedersi se non siano proprio le lobby del mondo accademico, in una cieca difesa delle proprie posizioni di potere, a spingere per l’attuazione del decreto Giannini. Un decreto che assomiglia terribilmente ad un costoso regalo pagato dal governo a quelli che si ritengono i veri padroni dell’università italiana, i baroni.