L’intervista: Pierluigi Marzorati

Dall’Oratorio alla conquista d’Europa e del Mondo

E’ stato l’unico cestista di tutti i tempi a giocare

per 5 decenni: ha vinto tanto. E ci dice la sua…

 

Radio Cusano Campus 89.1 FM (per le zone di Roma e Lazio, ascoltabile in streaming su www.radiocusanocampus.it) ha avuto il piacere, nella rubrica Sport Academy, di intervistare tramite Max Cannalire uno dei più grandi giocatori italiani di Pallacanestro, simbolo in Europa e nel mondo del nostro movimento. Ne è uscita fuori una chiacchierata fatta di grandi significati, che lo storico capitano canturino ha affrontato con apprezzabile sincerità.

 

Marzorati. Lei ha significato per Cantù ciò che è stato per Varese e Milano Dino Meneghin, nel periodo più aureo del Basket. Cosa le ha dato sul piano dei rapporti umani, stupenda disciplina, e cosa eventualmente le può aver levato, in fatto di rinunce?

“Penso di aver dato tanto, ma anche di aver ricevuto tanto, mi ha dato la possibilità di conoscere e frequentare, in un ambiente estremamente pulito, magari oggi un po’ meno, nel periodo in cui sono stato giocatore. Non perché non ci fossero i procuratori, ma di certo c’era un contatto diretto. Magari era negativo, sotto l’aspetto economico, ma era molto positivo, sulla comunicazione, sul piano delle motivazioni, con la società come con l’allenatore”.

Una volta si trattava per via diretta: bastava una stretta di mano, con il presidente…

“Sì, perché viveva, con la squadra. Credo che sia stato importante per la crescita personale, nei rapporti coi tifosi: la Pallacanestro è sempre stata una famiglia, con valori che andavano oltre le vicende tecniche e il mero aspetto economico. Era un percorso di formazione, apprendimento: poi uno utilizza quello che ha imparato per distribuirlo e poi spiegarlo ai più giovani. Qui credo che la Federazione debba e possa fare molto di più. Questo è il vero punto critico del BASKET ITALIANO”.

E’ stato come nel Calcio Francesco Totti è stato per la Roma. Lei per 22.

Sia sul piano del comportamento per l’esempio dato, ma anche dal punto di vista delle relazioni con gli avversari.

“Sì oddio non è che ero la pecora smarrita, da solo. Anche con la Nazionale mi sono confrontato con dei compagni che venivano da altre realtà di club, e mi hanno aiutato a crescere a capire, e a trasmetterli. Non è importante la durata dei 25 anni: uno può anche farlo in un anno. Basta che cerca di trasferire cose positive in quell’anno. Certo che in 25 anni oltreché aver la possibilità di trasferire le cose, ho avuto la possibilità di imparare molto di più”.

E’ partito da un oratorio, come tanti, disciplina e ambiente pulito, capace di dar disciplina ma anche di preservare il rapporto con le discipline motorie, no?!

“Sì, sono perfettamente d’accordo. Ogni tanto passo ancora a San Giovanni Bosco di San Michele di Cantù. Oggi le frequentazioni sono inferiori, vuoi per le vocazioni che sono diminuite, quindi c’è difficoltà di trovare i coadiutori che animavano; vuoi perché le strutture non si sono adeguate a quella che è la richiesta dei ragazzi di oggi, vuoi perché la famiglia non partecipa più come una volta alla vita dell’oratorio. Questo non vuol dire che gli oratori non ci sono più, ci sono ancora; e possono essere un punto di riferimento importante. Che possono essere ancora un punto di riferimento importante: ora vedo molta concentrazione sugli oratori estivi, forse perché devono essere parcheggiati i ragazzi. Ma credo che sia un utile confronto coi ragazzi seppur in un mese all’anno. Che i ragazzi non parlino solo dei soldi di Messi, di Neymar, di Buffon. Ma anche della propria realtà, il proprio contesto. Come non essere schiavi di uno sport ma come essere protagonisti di uno Sport”.

A proposito di risultati ottenuti. Cantù non è Manhattan, ma se leggiamo ciò che lei ha contribuito a conquistare…parliamo di 2 coppe del Mondo del Club altrettante, ovviamente Coppe dei Campioni, che poi lanciano verso l’Intercontinentale, 4 Coppe delle Coppe, 4 Coppe della Korac. Senza passare per il discorso dei campionati nazionali (Cantù ne ha vinti 2, ndr). E’ tanto, non avete costruito una storia qualsiasi; è una storia che resterà chissà per quanti secoli…”.

Innanzitutto eravamo un gruppo, non è che io abbia vinto da solo, no?! Il merito è di una società molto ben delineata, con un presidente, un general manager, un allenatore. Ognuno aveva delle responsabilità e a sua volta sapevano responsabilizzare i ragazzi in un certo modo. Credo sia una conseguenza di questo. Ma l’aspetto più importante è quanto ci hanno arricchiti queste vittorie qua: quindi anche sotto l’aspetto dell’amicizia, del rapporto, del vivere insieme momenti felici ma anche momenti difficili delle sconfitte. Quando uno si comporta con onestà, e, ovvio, ha un po’ di capacità, i conti tornano e la correttezza ripaga. E’ quello che ho imparato dallo Sport, ed è quello cerco di trasmettere ai miei figli. Nessuno è perfetto, intendiamoci, per cui ci sono delle pecche in ognuno di noi; però tanto più saremo corretti, sinceri e professionali, e tanto più saremo ripagati dalla moneta o se vogliamo da quanto noi seminiamo”.

Però queste vittorie sono state ottenute quando andavano più di moda V arese, 10 finali di Coppe dei Campioni di fila, Milano. Questo acuisce i vostri meriti, li amplia…

“Non voglio fare nessun paragone, con Varese che era su un altro pianeta, andava a combattere, andava a gareggiare con l’Armata Rossa, piuttosto che col Real Madrid, ne ha vinte 5; la stessa Milano con un ciclo di scudetti. Capacità di investimenti molto superiori. Credo che quello che ci suggerisce la parabola del Vangelo quando parla dei talenti, non è importante quanti talenti ho: l’importante è quello che riesco a fare, a raddoppiare i talenti. Pochi o tanti che siano. Non bisogna essere presidente degli Stati Uniti per fare delle cavolate. No, in questo momento sì – scherza con profonda ironia –; poter governare il mondo per prendere delle decisioni. Credo che ognuno di noi, nel nostro piccolo, possa essere utile, secondo il ruolo che occupiamo”.

Dopo aver smesso nel 1991, c’è stata quella bella sorpresa del ritorno in campo, per il quinto decennio consecutivo. Come è nata, quella idea di tornare, a 54 anni, perché anche da quel punto di vista sono arrivati applausi da tutti?

“Non è stata un’idea mia, ma del Responsabile Marketing, con suo figlio. Dovendo organizzare il 70° anniversario (la fondazione della Pallacanestro Cantù risale al 1936): per poter fare qualcosa di originale, per far parlare di questo evento, hanno pensato di inventarsi questa cosa dei 5 decenni. Era vero, perché ho iniziato a giocare in Serie A nel 1969, ho smesso nel ‘91. Sono 4 decenni quindi, entrando in campo 1’30” come ho fatto, avrebbero potuto vendere l’iniziativa come andare; è stata un’operazione di marketing presa anche come un gioco, perché giocare in Serie A a 54 anni uno non può pensare di essere un atleta professionista per 5 decenni. Mi sembra che abbia avuto un certo risultato, soprattutto per la società”.

Del gruppo della Nazionale del 1983 Campione d’Europa, ancora vi frequentate?

“Mah, è arrivato un Whatsapp di Meneghin. Questo fatto che Sacchetti torna in Nazionale, mi fa felice. Antonello Riva ci vediamo spesso, alle partite, capita che organizziamo qualche manifestazione di ricordo. Quest’anno, per esempio, è il 35° anniversario della prima vittoria in Coppa dei Campioni e tra una settimana viene Valerio Bianchini a Cantù per presentare un libro, e noi stiamo organizzando un bell’evento e ci troveremo tutti insieme, così, per divertirci. Lo stesso Caglieris ogni tanto ci sentiamo, viene e ci vediamo alle partite: Renato Villalta viene da Bologna e ci vediamo per motivi di lavoro. Quindi assolutamente sì: questa è la forza dello Sport”.

 

E’ un ambiente più ristretto, in cui ci si conosce, e a distanza di 30, di 40 anni, ci si vede ancora. Qual è l’avversario più difficile, tra quelli incontrati?

In assoluto Michael Jordan, anceh se era giovane e l’abbiamo incontrato in un’esibizione alle Olimpiadi di Los Angeles Michael Jordan; in Europa Stanislav Ëremin (storica figura del CSKA e della “vecchia” URSS poi Russia, n.d.r.), Juan Antonio Corbalan, Spagna, lo stesso Kicanovic, ex Jugoslavia. A livello nazionale Jellini, Ossola, lo stesso Caglieris e Brunamonti. Ce ne sono stati diversi”.

Se fa una classifica delle vittorie ottenute, tra quelle in Italia e quelle all’estero, qual è quella che definirebbe la più spessa, la più profonda, la più intensa?

“Direi due: la prima è quella che abbiamo citato, quella europea del 1983, perché è stata insperata, e soprattutto una vittoria pulita, meritata, costruita dal gruppo. E poi altrettanto quella del club, la prima Coppa dei Campioni contro il Maccabi Tel Aviv, per come l’ha preparata Valerio Bianchini, che ha svolto un grande ruolo. E’ stata una grande soddisfazione”.

Quella contro Milano, a Grenoble, fu più combattuta?

“Era la seconda. Quella che si ricorda di più è stata la prima. Quella più determinante, più importante. Forse, con un po’ di modestia, quell’anno contro Milano abbiamo fatto 3-1. Sapevamo che potevamo perdere giocando male, pur avendo fatto fatica. Mentre col Maccabi abbiamo beccato delle sonate, durante la stagione regolare”.

Quanto è difficile oggi auspicare rivedere in campo uno della sua tenacia, uno della costanza di Riva, della tenacia di Meo Sacchetti? Quanto è complicato?

“Dipende da tanti fattori, perché in primis tocca tornare a credere nei settori giovanili, non facendo finta e portando qui i “passaportati”: 5+4+3, 3+2+5. Sembra più un’analisi di matematica che non una scuola di vita, come diceva il presidente Allievi nonché mio suocero. Poi c’è anche l’aspetto della famiglia con i genitori devono interpretare bene il rapporto con i figli non pensando a un capitale da investire per farlo fruttare il più possibile ed avere un rendimento economico più alto che si può. Ma il primo obiettivo è quello di sviluppare la crescita del ragazzo per insegnarli a essere responsabili, rispettosi, facendolo crescere e maturare, rispettando il prossimo, il proprio lavoro, senza prendere le scorciatoie ma aver l’opportunità, nello Sport come al di fuori, dandogli una professione. Questa è una lezione che so a memoria e la dico sempre ai miei figli. Una volta si diceva “L’importante è imparare un mestiere”. Correttamente, prendendo dagli altri che ne sanno più di te, aver l’umiltà di mettersi a disposizione per imparare e arricchirsi come persona, nella globalità, ovviamente l’aspetto economico sarà una logica conseguenza”.

Le è piaciuto il soprannome che le diedero di Ingegnere Volante?

Certo, perché no?! Sono Ingegnere. Poi una volta quando pesavo meno volavo, e adesso – ci scherza sopra – magari giocando a golf sono un golfista strisciante. Certo, che mi è piaciuto”.

Cosa ha signficato vincere 2 scudetti con Cantù^?

Lo scudetto per qualsiasi club, mi viene in mente Venezia, è tornata al successo. La prima volta è sempre un’emozione fortissima, quando si ripete un po’ meno. Ma sapere di aver lavorato in un gruppo che ha ottimizzato le proprie capacità, le potenzialità, per arrivare a un risultato di così grande prestigio, è una grande soddisfazione”.

La speranza con la quale la ringraziamo e la lasciamo, Marzorati, è quella di rivedere gente in gamba come lei e come Meneghin, che nella Vita e nello Sport avete fatto tantissimo, rappresentare lo sport italiano. Perché questa è una lacuna che ci lascia indietro, rispetto agli altri paesi. E a nostro avviso forse il movimento del basket nostrano non ha del tutto sfruttato l’opportunità di avere Dino come presidente della FIP. Spero di rivedere entrambi e altri come voi, di un gran bel periodo, dirigere come si deve l’attività dal punto di vista organizzativo. E intanto GRAZIE!

“Grazie a voi. Perché no? Se posso fare qualcosa per i giovani, a livello di club o federale. Non è detto che non si ritornerà, vediamo. Quando saranno maturi i tempi non escludo potremo ritornare e fare qualcosa di buono. Non solo Meneghin, Marzorati, Villalta, Brunamonti, Sacchetti, che ci sono già dentro, possiamo dire Bariviera, Iellini, Vecchiato. Sono tanti, quelli che hanno dato molto come giocatori, e che possono fare tanto come allenatori, come dirigenti, come accompagnatore”.