«È chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcuni atenei hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana».

Questo è l’inizio della lettera aperta di 600 docenti universitari inviata al presidente del Consiglio, alla ministra dell’Istruzione e al Parlamento italiano, promossa dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità.

Per analizzare lo stato attuale dei fatti e sviscerare le motivazioni che sono alla base di quello che potrebbe sembrare analfabetismo di ritorno, Radio Cusano campus ha contattato Benedetto Vertecchi, pedagogista oltre che uno dei firmatari della missiva.

Prof. Vertecchi, come siamo arrivati fino a questo punto?

“Se 600 persone con sensibilità diverse si trovano concordi su un punto, lo stato di disagio dei giovani nell’utilizzo della lingua italiana, credo che questo debba rappresentare quanto meno un momento di riflessione per quelli che sono i responsabili della diffusione della cultura nel nostro paese. Qui non si parla di politica scolastica ma di politica della lingua e di politica della cultura della popolazione. Se negli ultimi anni la politica scolastica del nostro paese è stata piuttosto scadente, non si è fatto meglio per ciò che concerne la politica della lingua e quella della cultura della popolazione”.

Il problema di una lingua italiana sempre meno conosciuta e continuamente svilita dall’utilizzo che ne fanno i giovani è solo una criticità che risiede nel mondo della scuola?

“Un problema come quello che stiamo affrontando, il disagio dei giovani nell’uso della loro lingua, non è ascrivibile solo al mondo della scuola, è un problema sociale e la responsabilità delle istituzioni, in questo senso, è molto forte. Chi ci governa, chi è responsabile per gli altri, deve diventare testimone del buon uso della lingua italiana. La scuola non può onorare compiti che spetterebbero di diritto allo Stato, non si può sostituire in tutto e per tutto allo Stato”.

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